Assassinio di Francesco Ferdinando, 110 anni e non sentirli (ahinoi)
Il 28 giugno 1914 avveniva l’attentato di Sarajevo, prodromo della Prima Guerra Mondiale, sulla scia di tensioni etniche che perdurano ancora oggi: segno che dalla Storia non abbiamo imparato niente…
Il 28 giugno 1914 occorreva l’assassinio di Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al Trono dell’Austria-Ungheria, e della sua consorte morganatica Sofia. Fu la scintilla che avrebbe fatto detonare, esattamente un mese dopo, la Prima Guerra Mondiale. E fu motivato da tensioni interetniche che, ancora oggi, non si sono davvero mai sopite.
L’assassinio di Francesco Ferdinando
110 anni e, purtroppo, non sentirli. Non è affatto invecchiato bene l’attentato di Sarajevo, compiuto, come ricorda Rai Cultura, dal nazionalista serbo Gavrilo Princip, membro di un gruppo terroristico denominato “Mano nera”. Il quale puntava alla liberazione della Bosnia dal dominio austro-ungarico e alla sua annessione al Regno di Serbia.
L’assassinio di Francesco Ferdinando e della moglie fu ufficialmente il casus belli della Grande Guerra ma, in queste circostanze, raramente la spiegazione è così semplice. Nell’occasione, i prodromi vanno ricercati anche nelle mire espansionistiche dell’Impero asburgico, che contrastavano con l’ambizione di Belgrado di riunire tutti i popoli slavi sotto la propria corona.
Vienna poteva contare sul sostegno della Germania e, in teoria, dell’Italia, che invece allo scoppio delle ostilità si sarebbe dichiarata neutrale. La Serbia, dal canto suo, era protetta dalla Russia, a sua volta alleata di Francia e Regno Unito, che però gli Imperi Centrali credevano avrebbero lasciato correre. Erroneamente, ça va sans dire.
Con l’omicidio dell’Arciduca, dunque, più che altro l’Imperatore Francesco Giuseppe I colse la palla al balzo per provare a risolvere a modo suo la questione balcanica. Quanto avesse torto lo avrebbero tragicamente dimostrato gli anni a venire.
Non abbiamo imparato niente dalla Storia?
A oltre un secolo di distanza, le cause che allora fecero precipitare gli eventi non sono mai state davvero rimosse. E la Serbia, suo malgrado, è sempre protagonista, avendo stavolta come controparte il Kosovo, di cui non ha mai riconosciuto l’indipendenza. E che periodicamente accusa di discriminare la minoranza costituita dai “suoi” cittadini, come in occasione delle controverse Elezioni amministrative dell’aprile 2023.
La tornata era appena successiva all’accordo di Ocrida, mediato dall’Unione Europea e accettato (ma solo verbalmente) sia dal Premier kosovaro Albin Kurti che dal Presidente serbo Aleksandar Vučić. Che però, al momento della firma, addusse ironicamente un dolore alla mano destra, a suo dire destinato probabilmente a durare anni.
I due leader dovevano incontrarsi recentemente a Bruxelles, ma alla fine hanno preferito dei bilaterali con Josep Borrell, Alto Rappresentante Ue per la Politica estera. Sono comunque dei piccoli passi avanti, soprattutto se si pensa che solo nel dicembre 2022 Belgrado aveva disposto il «massimo livello di prontezza al combattimento» dell’esercito.
Non va peraltro dimenticato che la Serbia è tuttora molto vicina a Mosca. Laddove il Kosovo, pur non facendo parte della NATO, ha da poco ricevuto, come riporta l’ANSA, lo status di membro associato dell’Assemblea parlamentare dell’Alleanza Atlantica.
Un’iniziativa che, considerando come ogni pretesto sia valido per soffiare sul fuoco della protesta, non appare certo un buon viatico verso la pace. Ma forse, ahinoi, dalla Storia non abbiamo proprio imparato niente.