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L’orgoglio di Destra in Francia mentre l’Italia appaltava la cultura alla sinistra per un perenne Daspo intellettuale

Perché se la Francia è stata la patria di Voltaire, lo è anche di Victor Hugo, De Maistre e La Rochelle, e poi di Balzac e Drumont

Marine Le Pen, FN

Marine Le Pen, FN

Esiste da sempre un pensiero orgogliosamente di Destra nella Francia, culla europea del radical-marxismo, da sempre “buen retiro” anche del variegato mondo dell’eversione rossa nostrana (Brigate Rosse, Proletari Armati per il Comunismo, Lotta Continua, Nuclei Armati di Contropotere Territoriali, Nuclei Armati Proletari) che, senza troppa fatica, attraverso il breve tratto dei valichi alpini che ci separa dai cugini transalpini, ha potuto godere della più completa immunità.

Una consapevole appartenenza, quella della Destra francese, costruita grazie all’impegno di una folta schiera di suoi nativi letterati e intellettuali (fini pensatori o popolari romanzieri), che mai si è vergognata e neppure ha nascosto il proprio essere conservatore o di più, “reazionario”. Questo mai celato orgoglio di Destra ha sempre rappresentato un “monito” per tutti quei “resistenzialisti” che avevano da sempre cullato l’illusione di aver eliminato una parte della Storia e di essere rimasti gli unici a contendersi con i cristiani moderati il primato politico e culturale della Nazione.

A voler ragionare paradossalmente, in Francia è stata propriamente l’assenza di un “ventennio fascista”, quale apice di un’affermazione ideologica di Destra e di un fallimento dettato da scelte sbagliate, che ha consentito di mantenere intatto quel senso di appartenenza ad un ideale “originario”. Ideale che ha resistito a tutti i tentativi di “castrazione” da parte dei “vincitori”, liberati dal giogo nazista, grazie a quegli stessi americani che avevano inizialmente visto con “empatia” l’affermarsi delle varie dittature europee quale viatico di stabilità e crescita economica, prestando un occhio di riguardo alla Germania che si avviava a passo spedito verso l’egemonia del Fuhrer.

Non a caso, il sistema finanziario a stelle e strisce esportato nella Germania agli albori del nazionalsocialismo hitleriano (il noto Piano Dawes, dal nome del Direttore della Morgan Group, poi sostituito dal Piano Young nel 1929) negli anni 1922-1924, si fondeva con quello tedesco con un processo di investimenti in Germania mai visti fino ad allora. E proprio grazie a tali investimenti, i tedeschi ricostruirono anche e soprattutto l’industria militare che, già agli inizi del 1930, era diventata una delle più grandi ed evolute al mondo.

Va detto, che solo grazie al lavoro di alcuni giornalisti (quelli realmente indipendenti) si è potuta portare alla luce la commistione, sconosciuta ai più, fra gli “alleati” americani e i nazisti tedeschi. Le Banche tedesche, già tra la prima e la seconda guerra mondiale erano controllate da quelle americane, che, così come le grandi famiglie industriali statunitensi, avevano acquisito la proprietà delle più importanti industrie tedesche (ad esempio la Ford acquisì il 100% della azioni della Volkswagen).

Si pensi solo che la tedesca “IG Farben”, fondata nel 1925 con la fusione delle più grandi industrie chimiche tedesche dell’epoca, realizzò poi la sua più grande area chimica proprio ad Auschwitz per reperire la manodopera dal limitrofo campo di concentramento. Di più, varie inchieste successive alla fine della seconda guerra mondiale, rilevarono che la “IG Farben” deteneva il brevetto dell’insetticida “Zyklon B”, utilizzato nelle camere a gas negli oltre 40.000 campi di concentramento creati dalla Germania nazista.

Proprio in tali luoghi di orrore, gli ebrei deportati venivano utilizzati anche come cavie per esperimenti con pericolose sostanze chimiche e medicinali da testare (gas nervino e metadone furono inventati in tali disumane circostanze).

Ebbene, un’inchiesta statunitense del 1941 rivelò che la “IG Faber” e l’americana “Standard Oil Company” (inizialmente “Rockefeller Standard Oil”) avevano delle interessenze societarie. Addirittura la holding “IG America” istituita nel 1926 era controllata dalla tedesca “IG Farben” e aveva come suoi membri direttivi il figlio di Henry Ford, già Presidente dell’omonima industria, la Rockfeller Bank, la Standard Oil,  la Federal Reserve,  la Bank of Manhattan.

Inoltre, nel 1978 la New York “Free Press” accertò che la “IG Faber” prima della scoppio ufficiale della guerra si era segretamente accordata con i maggiori vertici militari USA affinché i propri siti in Germania non fossero bombardati, tanto che a fine guerra molte delle loro fabbriche rimasero intatte.

Riprendendo il discorso sulla Destra francese, che mai ha voluto piegarsi dinanzi ai falsi idoli della Sinistra, c’è da precisare che oggi proprio grazie al suo indomito spirito di appartenenza supportato anche dalla “profondità” di un pensiero intellettuale sempre vivo, “rischia” di portare a termine vittoriosamente la sua “controrivoluzione”, malgrado le epurazioni, le persecuzioni e le discriminazioni dettate dal più sommario e strumentalizzato dei giudizi.

E lo fa, non già con i superstiti nostalgici del passato, ma con i giovani (in alcuni casi giovanissimi) volti del presente, che negli anni hanno dato vita a innovative scuole di pensiero per quanto saldamente allacciate alla tradizione dei propri fondamenti storici. Una “controrivoluzione realizzata” ancor prima degli ultimi risultati elettorali, che affonda le radici del suo successo non certo nelle manifestazioni di facile populismo o di superficiale utilizzo di feticci simbolici, ma nella produzione letteraria di scrittori, pensatori e romanzieri.

Perché se la Francia è stata la patria di Voltaire, lo è anche di Victor Hugo, De Maistre e La Rochelle, e poi di Balzac e Drumont. Così il giornalismo politico orientato a Destra già con Maurice Bardèche, frettolosamente classificato esempio di negazionismo, dava coraggiosamente il giusto spazio all’onore dei vinti ( famoso un suo controverso libro sul Processo di Norimberga), divenuti spesso imputati per crimini insensati o mai commessi, oppure, sull’onda di un incontrollato giustizialismo post-bellico, giudicati criminali unicamente per aver perso una guerra.

La sua teorizzazione di un “Ordine Nuovo” per una nuova Europa delle Nazioni, facilmente avversata in Italia attraverso la propaganda e l’oscurantismo comunistoide, ha rappresentato in Francia il viatico per l’azione delle nuove generazioni di Destra. Non solo alimentate dall’accattivante simbolismo del passato, ma spinte soprattutto dalle nuove idee di una Destra non più intrappolata negli antiquati schemi di un nazionalismo vecchio e polveroso.

Piuttosto, il vivido impulso letterario di cui la Destra francese ha potuto beneficiare, soprattutto nel primo decennio del dopoguerra, ha forgiato intere generazioni di giovani capaci di battersi a viso aperto e senza le “mezze misure” vanamente imposte dall’establishment culturale e politico di una Sinistra autoproclamatasi, a grande torto, quale unica entità dedita alla Resistenza. Dimenticando che la “liberazione” avvenne solo grazie all’intervento del Paese più anticomunista del globo terraqueo insieme con forze golliste, socialiste, conservatrici, sindacaliste, giraudiste, cattoliche, studentesche e regionaliste.

E’ nato così un nuovo romanticismo che ha aperto la strada ad un fascismo “metafisico” in cui il Mito prevale sulla Storia (“Le romantisme fasciste” di P. Serant 1960). Un modo “sofisticato” per superare gli stereotipi negativi prodotti dagli errori e orrori del regime hitleriano, e difendere i valori più sani intrinsechi all’ideologia della Destra. Di questa Destra intellettuale, così elitaria e apartitica, si è nutrita l’attuale Destra di Marine Le Pen, capace nel corso degli anni di “concretizzare” il Mito e di materializzarsi nel sistema politico, senza mai nascondersi e con la sola forza delle idee.

Un successo partito da lontano, una “controrivoluzione culturale” non certo per la restaurazione del vecchio, ma per proporre soluzioni nuove e originali che possano riguardare non la semplice temporaneità della vita francese, ma l’intero mondo moderno in tutta la sua complessità.

D’altra parte, anche in Italia, soprattutto tra gli anni ‘50 e ’60, la Destra intellettuale aveva intrapreso un percorso del tutto simile a quella francese abbracciando la strada della metapolitica e superando i laccioli del più bieco nazionalismo e del facile populismo.

Ma la scellerata e poco lungimirante scelta di una DC, forte della supremazia religiosa (quando la forza del mondo cattolico sembrava non doversi mai esaurire e disperdere), di “appaltare” la cultura ai “cugini” con la ben stirata camicia rossa, ha generato per tutti gli altri un perenne “Daspo” intellettuale e giudiziario, una sorta di ghettizzazione politica e culturale, aprendo la strada agli anni di piombo e alle “morti inutili” di quei tanti giovani che non volevano rinunciare al riscatto del proprio futuro ed alla rivincita dei propri ideali.

E allora, mantenuta in vita dalla grandezza indiscussa di Giorgio Almirante, alimentata dalla dotta divulgazione rautiana, accettando lo sdoganamento berlusconiano, passando per la svolta di Fiuggi e per la recente mimetizzazione meloniana, fino alle coraggiose e rivoluzionarie “banalità” del Generale Vannacci, la Destra italiana potrà incontrarsi con quella francese e forse condividere la strada per un Nuovo Ordine in una nuova Europa.

E soprattutto avendo ben presente che quelle “morti inutili” riposte sotto al tappeto dalla “governante” (di turno) di casa Italia hanno comunque tracciato la strada: quella del riscatto, della rivincita e della rinascita di una vera Nazione.