11/9, vent’anni dopo: dalla rabbia e l’orgoglio alla lezione del Gattopardo
Tutto è cambiato perché tutto rimanesse com’è, a partire dall’Afghanistan. Ma, alla fine, che cosa ha da offrire un Occidente che si vergogna delle sue radici e dei suoi valori?
11/9, vent’anni dopo. A volte sembra sia passato un secolo, a volte solo pochi giorni dal mattino che ha segnato il primo spartiacque del nuovo millennio. Un anniversario che stavolta si carica, se possibile, di un significato ancora maggiore alla luce della più stretta attualità. Che, oltre che sui nuovi-vecchi barbari estremisti, dice molto anche sull’Occidente.
11/9, vent’anni dopo
Sono dunque già trascorsi due decenni dall’11/9, dal giorno più buio per gli Stati Uniti e per il mondo intero. Restano scolpite nella memoria collettiva le immagini dei due aerei che a New York colpivano le Torri Gemelle, facendole collassare in neanche due ore. Un terzo velivolo, intanto, si schiantava contro la facciata ovest del Pentagono, mentre un quarto aveva come obiettivo il Congresso americano – in entrambi i casi a Washington. Ma i passeggeri si rivoltarono contro i terroristi, facendo precipitare l’apparecchio in Pennsylvania, a 200 chilometri in linea d’aria dal bersaglio.
Era il primo attacco sul suolo statunitense dai tempi di Pearl Harbor. Alla fine si contarono 2.977 vittime, esclusi i 19 attentatori. Numero che cresce ulteriormente, però, se si considera il prezzo pagato nel tempo da quanti si ammalarono dopo essere stati esposti, tra l’altro, ai fumi tossici.
Passato lo shock, fu il momento della rabbia e l’orgoglio, come rivendicò la grandissima Oriana Fallaci. L’orgoglio della civiltà occidentale ferita dai barbari di Al-Qaeda, l’organizzazione integralista islamica fondata da Osama bin Laden contro cui si scatenò la rabbia degli Usa.
E venne la guerra al terrore, la “guerra giusta”, come ebbe a definirla l’allora Presidente americano George W. Bush. Prima contro l’Afghanistan, con lo scopo di abbatterne il regime talebano che fiancheggiava Al-Qaeda, poi contro l’Iraq di Saddam Hussein. Eliminato, alla fine, nel 2006, cinque anni prima dello sceicco del terrore.
Da Oriana Fallaci alla lezione del Gattopardo
Il cerchio, in qualche modo, si è chiuso proprio in questi giorni, con la vergognosa ritirata yankee da Kabul che ha riportato al potere proprio i Talebani. I quali, significativamente, hanno annunciato l’insediamento del loro nuovo Governo proprio nella data simbolo dell’11/9, come a lanciare un messaggio ben preciso, gattopardesco. Tutto è cambiato perché tutto rimanesse com’era. Dalla lezione della Fallaci a quella del Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa è stato un attimo – un attimo lungo due decadi.
La disorganizzazione del ritiro, comunque, non è l’unica macchia a carico dell’Occidente, le cui colpe sono decisamente più antiche. E stanno tutte nella deriva autocensoria che lo ha portato a vergognarsi di sé, della propria storia, della propria cultura, dei propri valori. Le pareti del cervello non hanno più finestre, canterebbe Franco Battiato. Quali frutti può offrire, infatti, un albero che taglia le sue radici?
Alla tirannia fondamentalista bisogna opporre un’alternativa valida, che certo non può consistere nei deliri nichilisti del pensiero unico politically correct. Al contrario, urge la riscoperta delle nostre origini, di ciò che gli antichi Romani chiamavano mos maiorum. Pena il rischio che la ferita dell’11/9, tuttora apertissima, continui a sanguinare ancora a lungo.