6 Febbraio 2022, giornata contro le mutilazioni genitali femminili. Il racconto
“Poi toccò a me, ero terrorizzata”, racconta Ayaan Hirsi Ali”, “Quando avremo tolto il clitoride tu e tua sorella sarete pure…”
Il 6 febbraio si celebra la giornata contro le mutilazioni genitali femminili. Una pratica barbarica purtroppo ancora diffusa in diversi Paesi del continente africano, in alcuni Paesi del Medio Oriente, in Indonesia, in Malesia e in Colombia e purtroppo anche in Europa. Si tratta di pratiche mutilative ai danni degli organi sessuali femminili. Un fenomeno vasto e complesso non affrontato come si dovrebbe. Una pratica che si attua con l’incisione e l’asportazione, in modo parziale o totale, dei genitali femminili esterni, quasi sempre senza anestesia e in scarse condizioni igieniche. Utilizzando strumenti “domestici” e rudimentali, come coltelli da cucina, vetri rotti, forbici, lamette, pietre appuntite o rasoi.
La tortura dell’infibulazione
Situazioni igieniche proibitive che si sommano alla crudele operazione, determinando in tantissimi casi infezioni o emorragie che portano alla morte. Una delle pratiche più diffuse è l’infibulazione, dove l’esportazione dei genitali esterni è totale e seguita poi dalla cucitura dei due lati della vulva, lasciando solo un piccolo orifizio per l’uscita dell’urina e del sangue mestruale. La sutura viene poi rimossa in occasione del matrimonio della giovane. E’ facile immaginare le conseguenze psicologiche e fisiche del trauma che le giovani sottoposte a questo genere di rituali possono vivere.
Un rituale che nei villaggi è spesso praticato da una levatrice con la compiacenza delle stesse figure familiari della giovane, che con forza viene immobilizzata e costretta a subire passivamente l’operazione. Si tratta di pratiche molto rischiose sia per le cattive condizioni igieniche sia per il dolore estremo provato sia per il pericolo di emorragie, ma le conseguenze si hanno anche nel lungo periodo. La possibilità di contrarre malattie come l’HIV o epatiti o la formazione di ascessi, calcoli, cisti, ostruzioni croniche del tratto urinario e della pelvi, forti dolori nelle mestruazioni e nei rapporti sessuali, infertilità, incontinenza e rischio di mortalità materna.
Mutilazioni genitali, una tortura fisica e psicologica
Questo per quel che riguarda la sfera fisiologica. Un dramma ancor peggiore riguarda la condizione di donna che la vittima dovrà subire a vita. Moltissime di esse infatti, raccontano di non riuscire a provare piacere sessuale. Un effetto collaterale o una conseguenza voluta? La negazione del piacere. La violazione di un naturale vissuto in onore di una struttura culturale fondata sulla supremazia maschile. La donna che artificiosamente viene privata della sua natura umana per essere trasformata in oggetto di piacere e strumento riproduttivo a piena disposizione dell’uomo.
Questo sicuramente tra i motivi più ancestrali dell’aberrante ritualizzazione che trova ancora una volta nel corpo della donna il luogo sul quale l’uomo può governare lo status di legittimo proprietario. Un residuo culturale che in alcuni villaggi dell’Africa decreta addirittura la possibilità per una giovane di convogliare a nozze o rimanere priva di uno sposo perché ritenuta impura.
La testimonianza di chi ha subito l’infibulazione
La testimonianza di chi ha subito sulla propria pelle questa violenza, ci rimanda alla profonda ferita che tutto questo lascia e alle arcaiche forze antropologiche che la determinano.
“Poi toccò a me. Ormai ero terrorizzata”, racconta Ayaan Hirsi Ali, politica e scrittrice somala naturalizzata olandese. “Quando avremo tolto il clitoride tu e tua sorella sarete pure”. ”Mi afferrò e mi bloccò la parte superiore del corpo…Altre due donne mi tenevano le gambe divaricate. Vidi le forbici scendere e l’uomo tagliò le piccole labbra e clitoride. Un dolore lancinante, indescrivibile, urlai in maniera quasi disumana…Poi vennero i punti: l’ago spinto tra le mie grida piene di orrore…La mia sorellina un tempo allegra e giocosa cambiò. A volte si limitava a fissare il vuoto per ore. (svilupperà una psicosi)… cominciammo entrambe a bagnare il letto dopo la mutilazione”.
Un rituale di passaggio che invece di accompagnare, ferma per sempre la vita di molte giovani. Peggio di un’assassinio, perché lascia in vita, ma trasforma irrimediabilmente l’approccio ad essa. Una forma crudele di tortura vera e propria che va ad insidiare le regole più basilari dei diritti umani, una pratica disumana attuata solo per rispondere ad assurde costruzioni culturali e religiose.
Un numero impressionante di donne mutilate
Per questo diviene fondamentale e urgente sensibilizzare le comunità dove ancora vengono praticate le mutilazioni, informando innanzitutto sui gravi rischi fisici e psicologici che esse comportano e suggerire alternative che fungano da rito di passaggio all’età adulta, senza incorrere in rischi di salute e traumi così profondi che segnano la psiche delle future donne della comunità.
Il numero di donne che oggi convive con una mutilazione genitale è spaventoso. Si stimano nel mondo circa 125 milioni di donne. La maggior parte di queste vive in 29 Paesi dell’Africa mentre una minoranza si trova in Asia e in alcuni Paesi islamici. In alcuni Stati come Gibuti, Somalia, Eritrea, Egitto, Guinea il fenomeno può interessare fino al 90% della popolazione femminile. In genere la mutilazione avviene tra i 4 e i 15 anni d’età. Una giornata per riflettere, ma anche per iniziare ad agire.
In collaborazione con Rocco Giuseppe Rettura, dottore magistrale in Psicologia, dottore in Scienze statistiche.