Abbattere statue e censurare film e attori: come fare il male a fin di bene
Abbattere statue. “Fare il male a fin di bene è uno dei vanti di questo secolo”, scrisse con sintesi fulminante Domenico Campana sul finire degli anni ’90
Abbattere statue. “Fare il male a fin di bene è uno dei vanti di questo secolo”, scrisse con sintesi fulminante Domenico Campana sul finire degli anni ’90.
Nessuno potrà smentirlo, se estendiamo la profezia al XXI secolo. Perché nella società la pulsione a farsi protagonisti di gesti che vanno dalla stupidaggine all’orrore passando per la demenzialità – in nome della giustizia o del risarcimento o del Vero – è crescente.
Alcuni titoli dei quotidiani: “Usa, attacchi contro le statue di Colombo”, “Minneapolis, abbattuta la statua di Cristoforo Colombo”, “Londra, tifosi del Millwall difendono la statua di Churchill dai manifestanti Black Lives Matter”, “Via la statua di Montanelli da Milano”. E così via.
Abbattere le statue dopo l’omicidio di George Floyd
Questi gesti sono stati innescati, come sapete, dalle circostanze della morte di George Floyd a Minneapolis. Circostanze che giustamente suscitano sdegno, interrogativi, voglia di pulizia e richiesta di recupero dell’onore delle istituzioni coinvolte. Ma la natura di certe reazioni va ben al di là di una giusta indignazione, sembra legittimata agli eccessi, sceglie i suoi bersagli in una rosa che si allarga a macchia d’olio, e che per effetto-domino finirà per colpire qualunque cosa o persona appartenga al passato e ai suoi valori.
Cristoforo Colombo, reo di comportamenti genocidi nel XV secolo, già interamente abbattuto da dimostranti a Minneapolis e a Richmond, a Boston è stato solo decapitato (per la seconda volta), da un manipolo di indignati. Al resto ha pensato l’amministrazione cittadina, rimuovendo la statua (viltà? opportunismo?). D’altro canto è da un po’ che si registrano mugugni e aperte proteste contro il Columbus Day.
Winston Churchill e Indro Montanelli
Meglio è andata a Winston Churchill, che se attraverserà indenne la buriana dovrà solo passare in tintoria per smacchiare i vestiti imbrattati domenica scorsa a Westminster davanti al Parlamento.
Si parva licet, a casa nostra vigilano i “Sentinelli”, che ora chiedono a gran voce la damnatio memoriae di un maestro di giornalismo e di indipendenza gambizzato dalle Brigate Rosse: Indro Montanelli. Ci vuole poco: cambiar nome ai giardini a lui intitolati a Milano, dopo ovviamente aver tolto da lì la sua statua (già a suo tempo inondata di vernice rosa). Una scultura sobria, non pomposa, che lo ritrae rannicchiato a battere i tasti della sua macchina da scrivere appoggiata sulle ginocchia. Attendiamo la risposta del sindaco.
Abbattere le statue di Re e generali
Se almeno in queste Liste di Proscrizione avessero incluso il truce generale Enrico Cialdini, repressore e massacratore seriale di famiglie del sud nelle epurazioni post-unitarie, ci avremmo visto quantomeno un senso di inflessibile equità. Invece i monumenti a lui dedicati in giro per l’Italia godono di buona salute. Unico affronto all’immagine savoiarda la statua di Vittorio Emanuele II “colonialista”, imbrattato nella sua nicchia sotto il Palazzo di Città a Torino. A nulla valse la nobiltà d’animo racchiusa nel suo celeberrimo proclama “Non siamo insensibili al grido di dolore che da ogni parte d’Italia giunge fino a Noi”.
Dicevamo. Mentre mestamente osservavamo sulle prime pagine dei quotidiani la statua acefala di Colombo, lo sguardo è scivolato su un’immagine che più iconica non si può: Rhett Butler e Rossella O’Hara, Via Col Vento.
Il cinema e le censura a Woody Allen e Kevin Spacey
Un guizzo di curiosità e piacere: una celebrazione? Una riedizione speciale integrale del film? No, semplicemente HBO l’ha epurato con infamia dal suo catalogo per “contenuti razzisti”. Avete letto bene.
Il cinema contemporaneo non se la passa meglio. Castigati dalle moderne Erinni del #MeToo per la loro vita privata, Woody Allen e Kevin Spacey (per dire solo di due) sono stati censurati e messi alla gogna. Del primo, l’autobiografia si è vista negare la pubblicazione in patria, come l’ultimo suo film Un giorno di pioggia a New York, uscito solo in Europa con gran ritardo. Al secondo è stata troncata la bella e fortunata serie House of Cards, e sono state chiuse le porte di molti set, nonostante il tribunale gli avesse infine dato ragione delle accuse mosse contro di lui. Non vogliamo entrare nel merito – peraltro soggetto a opinione – ma rileviamo che confondere la persona con l’opera è uno sfregio alla cultura che in altri contesti è stato ampiamente riconosciuto.
La paura di una nuova barbarie
Cosa ci turba di tutto ciò? Non so voi, ma noi abbiamo paura, sempre, della furia iconoclasta; da chiunque provenga. Sui talebani eravamo tutti d’accordo, ci sembra.
La rimozione della Storia è un indizio di nuova barbarie. Roba da “1984” di Orwell, dove (ricordate?) falangi di scrivani erano stipendiati a riscrivere (di soppiatto) tutte le pagine dei giornali che si erano espressi su nemici diventati amici, e viceversa, del Potere del momento; affinché tutto sembrasse (costosamente) coerente. E oggi che il Potere non è solo delle istituzioni, ma anche e soprattutto nella massa d’urto del numero, delle correnti di moda sui social, la riscrittura della Storia pare d’obbligo. Poco importa che giudicare l’ieri con le categorie politiche di oggi è un’operazione ignorante o in malafede. Per carità cristiana chiamiamola una bambinata.
Resilienza, la parola magica per uscire dal Covid-19. E non è sbagliata
Caso Magistratopoli, la legge è davvero uguale per tutti?