Abilitazione degli psicologi: il ministro Manfredi e il fardello burocratico
Ciò che chiamiamo burocrazia serve a garantire diritti e uguaglianza ma paradossalmente diventa una trappola che rallenta il paese
Burocrazia e abilitazione degli psicologi.
Siamo il bel paese, quello della buona cucina della storia e delle belle arti e pur avendo risorse e capacita imprenditoriali straordinarie. Uomini e donne alfieri di un made in italy di successo, avvertiamo da anni una gravità che frena il passo. Una gravità che impedisce al nostro paese di reggere il ritmo sempre più veloce che la modernità impone. Siamo un bolide al seguito di una Safity Car, come quella della formula uno. Si chiama Burocrazia questa forma difficilmente definibile, inconsistente ed impersonale caratterizzata da regole e procedure infinite.
Il Potere degli uffici
Il filosofo tedesco Max Weber la definì come “ il potere degli uffici”. Un potere che si struttura su regole e procedimenti per mezzo dei quali l’individuo o la comunità si definiscono nei comportamenti atti al raggiungimento di determinati obbiettivi. Un potere del tutto impersonale che basa la sua essenza su iter e processi astratti.
Il senso stesso di società si fonda sull’organizzazione di se stessa e sulla capacità di autoregolarsi, ma quando questo modello non segue la legge della ridefinizione che il tempo impone, finisce spesso per implodere.
La politica pur essendo a conoscenza del macchinoso fardello che grava sul nostro paese, si allinea allo spartito. La politica stenta ad intervenire limitandosi a slogan elettorali con promesse di risoluzione in nome della semplificazione che mai trovano un seguito.
Come mai?
Perché il continuo produrre regole, nuove procedure e nuove norme finisce con il sommarsi ai cavilli e dettami già in essere, divenendo così conoscenza esclusiva dell’ufficio che li applica e impossibili da trasformare dall’esterno, tanto più da una politica poco coraggiosa e sempre più spesso approssimativa. La procedura diviene così struttura portante del modello stesso e per questo istituzione, difficile da ridefinire perche ancorata al vizio stesso di essere autoriferita.
La vicenda di Giancarlo Siani
La cronaca di questi giorni ne è il più palese e oltraggioso esempio. Mi riferisco a Giancarlo Siani. Solo oggi riconosciuto giornalista, a 35 anni dal suo assassinio, quando da giovane cronista con coraggio denunciava le più potenti famiglie camorriste firmando con il sangue i suoi articoli. Solo oggi, perché al tempo dei fatti era un tirocinante in attesa di abilitazione. Un giovane, un indefinito e inabilitato che però scriveva pezzi passati alla storia, al contrario di coloro che avrebbero dovuto abilitarlo e dei quali si ricordano solo i ruoli nelle commissioni d’esame.
Si perché essere abilitato significa essere esaminato e riesaminato più e più volte prima di veder riconosciuto il proprio ruolo professionale. A prescindere dal lavoro svolto, a prescindere dalle personali attitudini. Serve la commissione, serve l’ordine accademico che deve valutare ancora una volta la capacità di rispondere a quattro domande ciclostilate. Lo sanno bene i laureati in psicologia che da mesi lottano contro questo assurdo paradosso dell’esame di stato e che gridano forte il bisogno di rivedere l’intero impianto. Un impianto che resiste da ben trent’ anni, ignaro di ogni progresso formativo e professionale.
Abilitazione degli psicologi e altre professioni
Fermo lì, inviolabile nel suo meccanismo all’interno del quale più dimensioni e uffici ne governano l’ingranaggio dettandone al contempo il modus operandi e facendo scudo verso qualsiasi tentativo di modernizzazione aggrappati ad un articolo di legge che ne legittima l’esclusività. L’importante è mantenere questa cadenza e restare in modalità Safity.
Un giovane laureato prima di poter iniziare a lavorare ed essere indipendente e divenire finalmente una risorsa per lo stato, deve giustamente formarsi professionalmente, deve dare forma a quel bagaglio di conoscenze e concetti che il mondo accademico gli ha fornito, attraverso un periodo di affiancamento durante il quale prendere coscienza del mondo lavorativo.
Sono diverse le lauree che rispondono a questo importantissimo intreccio formativo fra mondo accademico e lavorativo verso il quale lo stato deve sempre più investire e dietro il quale si cela il segreto della professionalità e della specializzazione e per il quale oggi il mondo della scuola e dei giovani chiedono a gran voce l’impegno della politica.
L’esame di stato per l’abilitazione degli psicologi
Perché oggi il processo formativo passa in secondo piano. Esso diviene l’ombra di una concezione vecchia e ad esclusivo appannaggio delle università che vedono le rispettive accademie, prima laureare e poi verificare la professionalizzazione acquisita in altre sedi, attraverso il cosiddetto esame di stato.
Un iter infinito che con il meccanismo della valutazione legittima un potere enorme attraverso il quale gli organi che lo rappresentano ne motivano l’assurda necessità, in nome della professionalità da garantire alla cittadinanza. “Un filtro che garantisce l’alta qualità” suona tuonare qualche ordine. Ma si filtrano i liquidi, l’aria, non le persone. Un filtro commerciale che limiti la concorrenza per i rappresentati? O un filtro dentro il cui fitto reticolato restano i nostri giovani, impantanati dalla raccapricciante trafila di documenti, iscrizioni, marche da bollo e costi esorbitanti che le procedure impongono? Perché il sospetto che dietro tutto questo ci siano vergognose manovre speculative che in un terreno così articolato e poco permeabile spesso attecchiscono è fondato. Perché dove ci sono costi, c’è anche introito.
Un introito che in questo caso non crea ricchezza, ma che anzi frena ogni crescita economica o innovativa. Visto inoltre che il costo della macchina burocratica è già di per sé oneroso oltre che per il cittadino. E’ anche su questo che i giovani laureati e la scuola in generale chiede di intervenire.
Il ruolo della politica
Investire sulla modernizzazione, sulla necessità di includere il mondo accademico con quello del lavoro per offrire eccellenze non subordinate all’oggettività di un riscontro puramente d’ufficio. E’ sulla spinta verso la formazione che la politica deve investire slegando se stessa dal solo riconoscimento valutativo sul quale oggi si rappresenta e per mezzo del quale diviene puro atto burocratico.
Il riconoscimento è oggi solo l’ennesimo attestato timbrato che fa parte di una serie di fogli in pergamena da dover incorniciare, ma che da solo non garantisce nessuna reale professionalità. diviene in sintesi solo burocrazia.
La burocrazia che nasce proprio per garantire legalità e uguaglianza sociale, paradossalmente si trasforma nel suo esatto contrario finendo per favorire le classi più agiate che riescono ad affrontarla o addirittura ad aggirarla. Un paradosso tutto nostrano che fonda la sua natura nell’approccio gattopardiano classico della nostra cultura.
Hanno ragione i giovani delle scuole o i neolaureati a scendere in strada e chiedere lo scatto di reni che serve a far ripartire questo paese. E’ in questo preciso momento storico che dobbiamo togliere di mezzo la safety car e innestare la marcia. Le nuove tecnologia dettano i tempi della storia moderna, che impone velocità siderali. E’ ora che dobbiamo far scalpitare i cavalli del motore e farlo con la forza dei giovani. L’occasione è irripetibile proprio perché a chiederlo sono loro.