Adorno e la stupefacente musica della filosofia
Al pari del mito omerico, chi ha saputo ascoltare quella voce, non la dimenticherà mai più…
Tra i pensatori decisivi di un secolo significativo come il Novecento, Theodor W. Adorno occupa certamente un posto di primo piano. Di origini ebraiche, è ancora molto giovane quando esce il suo primo libro su “Kierkegaard. La costruzione dell’estetico” (ed. it. Guanda), negli stessi giorni dell’ascesa di Hitler al potere. L’opera, che ha ad oggetto “la fine dell’idealismo filosofico”, viene recensita da Walter Benjamin (sue sono le ultime parole citate), il maestro di Adorno, destinato a scomparire prematuramente poco più di ottant’anni fa, nel settembre 1940.
La frase che conclude questo primo grande lavoro – “perché il passo dal dolore al conforto non è il più lungo, ma il più breve” – è tipica della filosofia di Adorno. Del suo metodo dialettico dallo stile fiammeggiante. Elemento piuttosto raro in un filosofo.
Bruciante maturità
Adorno aveva un’ossessione, la società, e una stella polare, l’arte. Naturale, allora, che molte delle sue opere siano dedicate a questi temi, da cui emerge con chiarezza, in ogni caso, il senso e la posizione della sua filosofia. Tra le opere più importanti del suo itinerario filosofico deve essere ricordata la “Dialettica dell’illuminismo” (ed. it. Einaudi), scritta a quattro mani con Max Horkheimer e pubblicata nel 1947.
Come ha fatto notare Roberto Calasso in “La rovina di Kasch” (Adelphi), qui si tratta di processo, come in opere analoghe di Marx, di Nietzsche, di Freud, di Heidegger. Processo al capitalismo, al nichilismo, al disagio della civiltà, alla metafisica occidentale. Poiché, per Adorno e Horkheimer, illuminismo è parola che sta per Occidente. In pagine straordinarie e travolgenti, viene sviscerato il nesso tra mito e illuminismo, che si svolge tutto all’insegna del dominio, attraverso tematiche cruciali come l'”Odissea” di Omero, l’industria culturale, l’antisemitismo.
Ancora degli anni quaranta, ma pubblicata nel ’51, è un’altra opera di Adorno, “Minima Moralia. Meditazioni della vita offesa” (ed. it. Einaudi). Dedicata ad Horkheimer e composta di 153 aforismi, è uno dei libri più alti e drammatici del secolo. L’intellettuale in esilio e la dialettica.
La vita difficile dei sentimenti in un mondo che ha conosciuto l’orrore dei campi di sterminio. Il processo di disgregazione delle forme artistiche tradizionali e la nascita del neo-capitalismo. L’industria culturale, il ruolo della filosofia in tutto questo e l’utopia danno corpo a quest’opera, il cui livello stilistico è splendente, degno di essere accostato solo a Benjamin e a Nietzsche.
Un terzo libro di questo periodo deve essere menzionato ed è “Filosofia della musica moderna” (ed. it. Einaudi) del 1949. Applicazione musicologica della “Dialettica dell’illuminismo”, esso tratteggia, in analisi grandiose, Arnold Schönberg come esponente del progresso in musica e Igor Stravinsky come vessillo della restaurazione. L’opera piacque a Thomas Mann, che volle Adorno come consulente di teoria musicale, quando compose il “Doktor Faustus” del 1947.
Il grande avversario
Nella sua vasta, complessa e variegata opera, Adorno ebbe molti riferimenti polemici, ma un unico grande contendente, Martin Heidegger. Il quale da parte sua, a proposito di Adorno, fece sapere che non era molto interessato alle critiche di carattere sociologico. In apparenza diversi come il giorno e la notte, di destra Heidegger, di sinistra Adorno, i due ebbero, tuttavia, molti punti in comune.
Sebbene Adorno non amasse, in Heidegger, il culto dell’arcaico, il mito contadino, il gusto per le etimologie e i neologismi, il punto di approdo è, in effetti, molto simile. Entrambi giunsero, anche grazie a Nietzsche, al rifiuto della sistematicità propria dell’idealismo e a un’ottica post-filosofica. Entrambi diffidavano della scienza e del positivismo logico.
Entrambi furono critici feroci e acutissimi del mondo contemporaneo. Entrambi erano convinti della centralità della poesia e della sua funzione ispiratrice per il pensiero. Poi resta da decidere come si vuole valutare la polemica in filosofia, a partire dai debordanti attacchi di Schopenhauer verso gli idealisti Fichte, Schelling e Hegel. Resta che, con questa grande polemica di Adorno verso Heidegger, la grande filosofia tedesca si congedava dalla storia del mondo.
Messa a fuoco prima del congedo
È ormai prassi consolidata, quella di pubblicare i corsi filosofici dei grandi pensatori, spesso con risultati splendidi. È stato il caso di Heidegger e di Foucault, di cui anche in italiano si possiedono molti volumi di questo tipo. Anche per Adorno ne possediamo alcuni. Prima però, bisogna spendere due parole sul contesto filosofico in cui questi corsi si collocano. Dagli anni cinquanta, Adorno implementa il lato teoretico del suo lavoro ed il suo libro su Husserl esce nel’ 56. Nel ’63 viene pubblicato “Tre studi su Hegel” (ed. it. Il mulino), il grande maestro di Adorno.
Nel ’64, “Il gergo dell’autenticità” (ed. it. Boringhieri), dedicato principalmente al linguaggio di Heidegger e di altri. Dunque Adorno è, in questi anni, alle prese con la triade Husserl, Hegel, Heidegger – la stessa su cui si era curvato Jean-Paul Sartre nel suo capolavoro “L’essere e il nulla”. Questo lavoro di scavo di Adorno sfocerà, nel 1966, nella pubblicazione della grande “Dialettica negativa” (ed. it. Einaudi), tra le opere più dense di significato del secolo.
L’opera ha la grande ambizione di spingere la filosofia oltre sé stessa. Verso quella conciliazione utopica con la totalità dell’essere che attraversa tutto il pensiero di Adorno. Il quale morirà nel 1969, prima di aver ultimato la “Teoria estetica” (ed. it. Einaudi), uscita postuma nel 1970, a cura della moglie Gretel – appassionata corrispondente di Walter Benjamin in gioventù.
L’oralità della filosofia
I corsi filosofici di Adorno, tradotti in italiano, appartengono a questi anni e a questo intreccio di problemi. Sia quello riguardante la “Terminologia filosofica” (ed. it. Einaudi, prefazione di S. Petrucciani), sia quello intitolato “Metafisica. Concetto e problemi” (ed. it. Einaudi). Merita particolare attenzione il primo. Tenuto all’Università di Francoforte tra il ’62 e il ’63, esso è composto di 46 lezioni, per circa cinquecento pagine complessive. Si tratta di un’introduzione alla terminologia filosofica e, allo stesso tempo, di un’introduzione alla filosofia.
L’occasione è straordinaria: un pensatore del calibro di Adorno, prende per mani i suoi studenti – e tutti coloro che leggono l’opera, splendidamente tradotta da Anna Solmi – e li guida alla scoperta dei meandri della filosofia europea e occidentale.
A volte sembra di vedere il suo viso paffutello, incorniciato dalla testa senza capelli e dai mitici occhiali, mentre, davanti al suo uditorio, leva il suo canto. La ricchezza straordinaria del libro sta, dunque, nella sua dimensione orale. La filosofia non è nata come esperienza legata alla scrittura e alla lettura, ma, come ci ricorda Giorgio Colli in “La nascita della filosofia” (1975, Adelphi), assume questa forma con Platone.
Ancora Aristotele aveva passato la gioventù a discutere, ci rammenta sempre Colli in “Filosofia dell’espressione” (1969, Adelphi). La registrazione su nastro ci permette, allora, di riascoltare la voce di quella che Calasso, in “I quarantanove gradini” (Adelphi), ha chiamato la “sirena” Adorno. Al pari del mito omerico, chi ha saputo ascoltare quella voce, non la dimenticherà mai più…