Affaire Pegasus, se sono spiati Re e Presidenti allora nessuno è al sicuro
Il caso è deflagrato solo quando si è scoperto che anche Macron era nella lista dei sorvegliati: e ci dà un monito su noi stessi e sulla nostra dipendenza dalla tecnologia
Seppur con qualche giorno di ritardo rispetto al resto del globo, anche sulla grande stampa nostrana sta ora deflagrando l’affaire Pegasus. Espressione che designa l’indagine sul (tentato) spionaggio informatico ai danni di politici, giornalisti, attivisti e manager di tutto il mondo. Un caso balzato agli onori della cronaca quando si è scoperto che tra gli obiettivi figurava il Presidente francese Emmanuel Macron. Il che è abbastanza desolante perché, a prescindere dai protagonisti, la vicenda suona come un monito per tutti noi.
L’affaire Pegasus
Dopo un anno e mezzo di lotta al Covid-19, qualcuno deve aver pensato che un virus informatico potesse rappresentare una specie di variazione sul tema. E, dunque, ecco il Pegasus Project, lo spyware messo a punto dall’azienda israeliana NSO, che lo avrebbe venduto a una decina di Nazioni estere. Incluse Arabia Saudita, Azerbaijan, Messico, India, Ungheria e Marocco, anche se i Governi degli ultimi due Stati hanno già smentito qualsiasi coinvolgimento. Che nel caso del Paese maghrebino sarebbe paradossale, visto che l’elenco dei bersagli comprende anche il Re Mohammed VI e il Primo Ministro Saâdeddine El Othmani.
Tanto per dire che Monsieur le Président è in buonissima compagnia. In effetti, nel mirino c’erano anche i suoi omologhi iracheno, Barham Salih, e sudafricano, Cyril Ramaphosa, oltre ai Premier pachistano, Imran Khan, ed egiziano, Mostafa Madbouly. Nonché alcuni ex leader, tra cui spiccano l’ex Premier transalpino Édouard Philippe e l’attuale numero uno del Consiglio europeo, il belga Charles Michel.
Queste le autorità, ma l’affaire Pegasus è decisamente più esteso. Sono almeno 50.000, infatti, i numeri di telefono “sotto sorveglianza” individuati nel corso di un’inchiesta giornalistica condotta da 17 organi d’informazione. Numeri appartenenti anche a businessmen, militanti per i diritti umani e cronisti di testate quali CNN, New York Times, Le Monde, Financial Times e Al Jazeera. Sul fatto che non compaiano Italiani (eccetto Romano Prodi, ma per via di un incarico internazionale) preferiamo non infierire.
In ogni caso, sono dati che stonano con l’autoassoluzione di NSO. Secondo cui «si suppone che i target siano terroristi e criminali, come pedofili, signori della droga e trafficanti di esseri umani».
Nessuno è al sicuro
Lo spyware è una categoria di software definito, non a caso, “malevolo” (in inglese malware), creato per raccogliere informazioni dal dispositivo di un altro utente. Viene attivato da un’interazione dell’utente stesso, che per esempio può essere invogliato a cliccare su un link ricevuto via e-mail, WhatsApp, social network o SMS.
Nel caso specifico, Pegasus è programmato per estrarre dagli smartphone infettati contatti, user name, password, note, documenti, ma anche foto, video e messaggi. E il fatto che sia stato possibile anche solo pensare di poter intercettare Capi di Stato e di Governo dimostra che nessuno è davvero al sicuro.
In questo senso, l’affaire Pegasus costituisce certamente una lezione – e un campanello d’allarme – per una generazione dipendente dalla tecnologia. Una generazione che ha racchiuso intere esistenze nei pochi pollici di un pc o un cellulare.
Una generazione che, forse, dovrebbe disconnettersi e tornare a volare alto, proprio come Pegaso, il mitologico cavallo alato da cui il programma pirata prende il nome. Non sarebbe forse questa, dopotutto, la migliore delle rivalse?