Affaire Vati-gate, rispondiamo ad alcune obiezioni sulla nostra inchiesta
Se Benedetto XVI non si è dimesso, perché non lo dice chiaramente? E perché dovrebbe inviare messaggi in codice? La nostra replica a questi interrogativi, e non solo
L’inchiesta sull’affaire Vati-gate, magistralmente condotta dal collaboratore di Libero Andrea Cionci e a cui proviamo modestamente a contribuire, ha sollevato parecchi interrogativi. E non poteva essere altrimenti, considerando ciò che implica la possibilità che la Declaratio di Benedetto XVI non fosse una certificazione di dimissioni. Tra le obiezioni che ci sono state presentate ne abbiamo scelte alcune, a cui ora proveremo a dare una risposta.
Amicus Plato, sed magis amica veritas
Una delle perplessità avanzate sull’affaire Vati-gate è il disagio espresso da fedeli che si riconoscono nelle posizioni di Jorge Mario Bergoglio. E che, preoccupati dalle conseguenze della nostra indagine, si chiedono se essa sia nell’interesse della Chiesa cattolica.
Timori, va da sé, comprensibilissimi e più che legittimi. Tuttavia, la verità ci sembra più importante del quieto vivere. E la verità è stata esposta non (tanto) da noi o dal collega Cionci, quanto da canonisti “bergogliani” come Monsignor Giuseppe Sciacca e la professoressa Geraldina Boni.
Per riassumere, il Papa è uno solo (non esistono due Papi, né un Papato “allargato”). Dal 1983 l’ufficio papale si considera composto di due enti: il munus (il titolo divino di Sua Santità) e il ministerium (l’esercizio pratico del potere). Secondo il Canone 332 §2 del Codice di Diritto Canonico vaticano, un Pontefice intenzionato a dimettersi deve rinunciare al munus. Tuttavia, nella Declaratio Joseph Ratzinger ha affermato di abbandonare il ministerium.
Queste le argomentazioni che, come hanno dimostrato autorevoli giuristi, rendono il documento ratzingeriano giuridicamente invalido, se lo si interpreta come attestazione di rinuncia. Laddove tutto torna se lo si valuta come certificazione di (Santa) Sede impedita, come prevede il Canone 412. Amicus Plato, sed magis amica veritas, pare affermasse il filosofo Aristotele.
Altre obiezioni sull’affaire Vati-gate
Alcuni si chiedono perché allora Papa Benedetto non parli chiaro. La risposta è: proprio perché si trova in sede impedita, e dunque non ha modo di comunicare se non usando un linguaggio cifrato. Quel “Codice Ratzinger” di cui noi stessi abbiamo riferito, in base al quale – per dirne una – il diretto interessato ripete dal 2013 che il Papa è uno solo. Senza che mai, neanche una sola volta in otto anni, abbia specificato chi.
Ma è proprio necessario – e qui veniamo a un ulteriore dubbio – fare riferimento a un sotto-testo nei messaggi di Papa Ratzinger? Le sue parole, soprattutto quelle trascritte dal giornalista Peter Seewald nei libri-intervista Ultime conversazioni e Ein Leben, non potrebbero essere assolutamente cristalline?
Certo che sì, naturalmente. Però questa circostanza non tiene conto di quelli che, in una simile lettura, sarebbero errori e incoerenze imbarazzanti per un uomo della cultura di Benedetto XVI. Inesattezze che però, una volta di più, si sanano se le si considera come un brillante (e logico) escamotage. Per gli esempi rimandiamo a Cionci, che ne ha raccolto un discreto campionario.
En passant, con questo siamo già a tre indizi. Per Agatha Christie, più che sufficienti a fare una prova – e chiudere il caso.