Africa, altro golpe in Gabon: contagio autocratico o autodeterminazione?
È l’ottavo colpo di Stato militare in tre anni (l’ultimo a luglio in Niger), e ci sono dei tratti in comune: dal forte sentimento antifrancese all’esultanza delle popolazioni
Neanche il tempo di digerire la crisi nigerina di un mese fa, ché l’Africa si è svegliata con un nuovo golpe in atto. Teatro, stavolta, è stato il Gabon, dove erano appena stati annunciati i risultati (contestatissimi) delle Presidenziali. Eventi che, peraltro, vanno ad aggiungersi ad altri analoghi occorsi soprattutto nell’ultimo triennio: e tutti presentano dei tratti in comune assai significativi.
Il golpe in Gabon
Avendo constatato che il Governo è «irresponsabile e imprevedibile» e «rischia di portare il Paese nel caos, «abbiamo deciso di difendere la pace ponendo fine all’attuale regime». Così parlò un ufficiale dell’esercito gabonese, dichiarando, come riporta l’ANSA, lo scioglimento di «tutte le istituzioni» e l’annullamento delle elezioni generali.
La tornata, aggiunge Sky TG24, aveva ufficialmente sancito la rielezione, per un terzo mandato, del Capo dello Stato uscente Ali Bongo Ondimba col 64,27% dei consensi. Anche se sullo scrutinio c’erano stati dubbi fin dall’inizio, tant’è che Josep Borell, Alto Rappresentante Ue per la Politica estera, l’ha definito «viziato da irregolarità».
L’ormai ex Presidente era assurto al potere nel 2009, alla morte del padre Omar Bongo, che aveva guidato lo Stato ininterrottamente per quasi 42 anni. Ora è agli arresti domiciliari, sostituito ad interim dal generale Brice Oligui Nguema, fino ad allora numero uno della Guardia Presidenziale del Gabon (i “custodi della Repubblica”). Il quale, in un’intervista esclusiva concessa a Le Monde, ha dichiarato che il suo predecessore è stato «messo in pensione».
Il putsch ha suscitato l’inquietudine e la condanna del mondo intero, cominciando dall’Unione Africana e da quell’Eliseo che vede sempre più sgretolarsi la Françafrique. Il sistema di “ingerenze soft” imposto da Parigi alle ex colonie francofone nel Continente Nero, che è una delle chiavi di lettura degli avvenimenti odierni.
L’Africa e l’autodeterminazione
Come sintetizza France 24, dal 2020 si sono verificati otto colpi di Stato in sei Nazioni, tutte localizzate nell’Africa centrale e occidentale. Prima del Niger nel luglio scorso, era toccato a Mali e Burkina Faso (che hanno fatto anche il bis), al Ciad e alla Guinea.
Tutti questi episodi hanno più di un massimo comun denominatore, a partire dalla matrice militare e dall’atavica ostilità verso la Francia. Ma ce n’è uno in particolare che non viene praticamente mai menzionato: l’esultanza delle popolazioni interessate dall’instaurazione di queste “democrazie delle armi”. E il Gabon non fa eccezione, come dimostrano le scene di giubilo registrate nella capitale Libreville e nella capitale economica Port-Gentil.
Un sentimento diffuso che sarebbe gravissimo ignorare o anche solo sottovalutare, a prescindere dalla legittimazione (o meno) delle giunte rivoluzionarie. Perché magari è vero, come hanno affermato Bola Tinubu, Presidente della Nigeria, e il suo ex omologo transalpino François Hollande, che siamo davanti a un «contagio autocratico». Ma qual è il confine con la (sacrosanta) volontà di autodeterminazione? Forse, dopotutto, ha ragione il leader dell’estrema sinistra d’Oltralpe Jean-Luc Mélenchon quando twitta, in modo tanto semplice quanto efficace, che «gli Africani voltano pagina».