Anche Valditara promette la riforma scolastica. Storia di un diritto disatteso
La funzione fondamentale della scuola, la trasmissione del Sapere alle nuove generazioni, è stata cancellata e sostituita con un “servizio” agli utenti, utile soprattutto agli interessi di parte
E’ un fenomeno ricorrente della nostra storia repubblicana: tra le tante promesse di riforma di istituzioni e servizi pubblici non manca mai quella relativa all’Istruzione pubblica. La scuola è considerata dalla Costituzione un diritto fondamentale del cittadino, strumento di elevazione sociale funzionale anche ai diritti fondamentali di parità e uguaglianza di tutti.
E’ anche un fatto storico che molti cambiamenti introdotti dalle riforme attuate finora abbiano disatteso tale diritto, alterando la struttura materiale dell’Istituzione, dai contenuti dello studio alla verifica di esso. Parallelamente hanno modificato e svilito la funzione docente, non soltanto economicamente ma anche dal punto di vista professionale e culturale.
Pertanto, ogni nuovo governo che si presenti ha buon gioco nel fare promesse, spesso tra loro intrinsecamente contraddittorie, a studenti, famiglie e insegnanti.
La storia dei cambiamenti sarebbe piuttosto lunga da raccontare: i maggiori vennero attuati dagli anni Sessanta, in corrispondenza con il boom economico, in poi.
L’esigenza modernista
Si affermò allora l’esigenza di adeguare i contenuti dello studio al progresso tecnico e nel contempo modificare i metodi con cui impartire l’istruzione.
Questa esigenza, che potremmo definire modernista, portò all’impoverimento della cultura classica, con l’abolizione dello studio della lingua latina, sulla quale si sono sviluppate tutte le lingue e culture europee, in particolare la nostra.
Al posto di questa sono state inserite nella scuola media di I grado le generiche Osservazioni scientifiche, abbinate alla Matematica. Il risultato è stato quello di sostituire il metodo di studio razionale, esplicativo e deduttivo, con l’apprendimento mnemonico di nozioni scollegate tra loro.
La stessa cosa è avvenuta per l’Italiano, abolendo o riducendo al minimo lo studio della grammatica e degli scrittori classici, sostituiti da brani poveri di scrittori moderni ritenuti attuali e quindi più importanti. Come se il valore della letteratura si misurasse con il metro del tempo.
Al contrario, noi riteniamo che l’ira funesta di Achille scatenata dalla prepotenza del capo che tradisce la parola data, ma ancor più la commozione dell’eroe che abbandona la vendetta sul valoroso nemico di fronte alla richiesta del Re Priamo in ginocchio, quindi rilascia al padre la salma del figlio Ettore affinché abbia degna sepoltura ed esequie dai familiari, abbia un valore poetico eterno, valido cioè per gli uomini di ogni epoca.
Ciò che non si può dire del contenuto di opere più vicine a noi nel tempo, come per esempio le vicende dei Ragazzi di strada di Pasolini.
Addio trasmissione del sapere
La funzione fondamentale della Scuola, la trasmissione del Sapere alle nuove generazioni, venne cancellata e sostituita con un “servizio”agli utenti, utile soprattutto agli interessi di parte.
Come abbiamo detto all’inizio, l’istruzione è un diritto fondamentale del cittadino, sancito dalla nostra Carta Costituzionale. All’art.9, “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. Nell’ art.33, “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”,
“la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”; art. 34, “… L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi“.
In base a queste dichiarazioni di principio, i governi della Repubblica dovrebbero avere un ruolo piuttosto neutro nei confronti della cultura e della sua trasmissione alle giovani generazioni.
Quindi, il potere esecutivo dovrebbe avere il compito fondamentale di stabilire norme generali ed istituire scuole statali, cioè pubbliche, per garantire il diritto dei cittadini.
Un comma successivo dell’art.34 riconosce la facoltà di associazioni o enti privati di istituire scuole non statali, purché garantiscano ai giovani un trattamento ed un’istruzione equivalente a quella della scuola pubblica, verificabile.
Lo studente – discente
Purtroppo nel corso degli anni si sono avvicendate diverse interpretazioni del senso degli articoli su citati. Quella prevalente, fondata sui Decreti Delegati sulla scuola del 1974, ha posto lo studente–discente al centro del rapporto. Lo studente come fruitore del servizio scolastico che avrebbe dovuto garantirgli un’istruzione adeguata alle sue esigenze di libera socializzazione e di pratica e immediata utilità per entrare nel mercato del lavoro. Conseguenza, anzi premessa di questa concezione, è stata la trasformazione del ruolo e della figura dell’insegnante. Questi non deve più trasmettere all’allievo (o meglio al fruitore) conoscenze generali ed astratte, ma competenze pratiche e concrete.
Inoltre, sulla base della cosiddetta autonomia scolastica, che deve essere riferita alle esigenze economiche locali, ogni scuola deve dare agli utenti (studenti e famiglie) la propria offerta formativa, il famigerato POF(piano offerta formativa).
All’insegnante, chiamato retoricamente docente, viene ironicamente riconosciuta l’autonomia di elaborare programmi che devono obbligatoriamente rientrare nell’ambito del POF; inoltre, l’attuazione di tale programma deve avvenire in modo tale da garantire a tutti i ragazzi lo stesso successo formativo, ognuno secondo le proprie capacità e senza sforzo, guidato per mano con i metodi della didattica per disabili.
Via i giudizi
E’ pertanto vietata qualsiasi forma di giudizio, in particolare numerico, che sancirebbe diversità e senso di frustrazione nell’utente, che non si chiama più discente (o allievo) per rispettare la mistificatoria democrazia paritaria imposta dal didattichese politically correct.
Per difendere la scuola come Istituzione delegata alla trasmissione del Sapere ed al progresso della società civile, sulla tradizione della scholé greca, è necessaria la costruzione di un Ordine Professionale degli Insegnanti autonomo e indipendente.
Questa politica disastrosa è perseguita da tutti i governi che si sono succeduti, con qualche differenza dovuta al colore politico. Quelli di centrosinistra hanno posto l’accento sulla parificazione demagogica verso il basso, e sono i maggiori responsabili della distruzione; al loro pensiero (si fa per dire) sono dovuti i Decreti Delegati di cui sopra e l’abolizione del Latino.
Quelli di destra hanno posto di più l’accento sulla spendibilità immediata delle competenze, per favorire i piccoli e medi imprenditori. La Lega Nord, oggi un po’ camuffata, pretende di gestire le scuole, soprattutto quelle professionali, a livello regionale. In sovrappiù, vorrebbe sostituire la lingua e la storia nazionali con quelle locali: immaginiamo la profondità culturale dei dialetti celtico-padani e la grandezza della Storia dei Carrocci!
Su un punto fondamentale tutti sono stati d’accordo: sul fatto di ritenere il docente un semplice applicatore delle loro decisioni e servitore dei cittadini utenti, che possono servirsene come di uno zerbino. La sinistra ha indorato l’amara pillola con i più tortuosi corsi di formazione.
Eppure, emerge qualche contraddizione
Il nuovo Ministro ha dichiarato l’esigenza di restituire autorevolezza ai docenti; inoltre, gli studenti colpevoli di comportamenti dannosi per i loro compagni o per le strutture andrebbero rieducati con i lavori utili a scuola. Per quest’ultima posizione sono piovute moltissime critiche dai “democratici”.
Da parte nostra, sforziamoci di rimettere in piedi un discorso corretto, avulso da ideologismi.
La scuola non è un semplice servizio dovuto ai cittadini: per i Greci era la scholé, per i Romani la schola: l’Istituzione della società civile con cui il sapere veniva trasmesso, di cui depositario era il filosofo o il letterato; l’intellettuale, diremmo oggi.
Questa figura ha in se stessa il dovere e il compito di istruire i giovani: non si può costruire un pensiero, fare ricerca o scrivere un’opera se non pensando (non immediatamente, a volte) di farla conoscere agli altri. Perciò il centro in un rapporto dialogico corretto tra docente e discente dovrebbe essere il primo, anche e soprattutto direi, a garanzia di una costruzione e trasmissione del Sapere libera e indipendente dai condizionamenti di parte.
Non siamo ciechi idealisti: sappiamo bene che in realtà, in ogni epoca chi esercita il potere cerca di servirsi della cultura per i propri interessi, per manipolare le masse e l’individuo perfino nella sua dimensione più intima.
L’Ordine professionale degli Insegnanti
Proprio per questo motivo vogliamo riproporre l’istituzione di un Ordine Professionale degli Insegnanti autonomo da partiti e sindacati.
Esso dovrebbe avere la funzione principale di elaborare i contenuti generali (programmi) ed il metodo di trasmissione di essi, affidati alla libertà della funzione docente.
Ad esso competerebbe anche l’aggiornamento e la valutazione dell’operato del singolo, sottratti così alla piovra politica. Né si dovrebbe temere, come affermano i sinistri democratici, la deriva corporativa, proprio perché codesto ordine deve esprimere l’interesse generale, con la libera discussione tra tutti.
Vorrei sottolineare che la rivendicazione dell’indipendenza di un tale Ordine dai poteri legislativo ed esecutivo dovrebbe somigliare a quella dei magistrati, senza la necessità di forzare la costituzione come oggi si vorrebbe fare per asservire quest’ultimi.