Antifascismo e cas(in)o Scurati: lo spauracchio non serve, e non paga
Il fuoco amico del Fatto Quotidiano smentisce, carte alla mano, la censura Rai dello scrittore: e quello di Mentana nella radical chat demolisce la reductio ad Ducem, controproducente per i consensi
Passato (forse) il tempo dei “professionisti dell’antimafia”, è definitivamente scattata l’era dei professionisti dell’antifascismo (categorie in parte coincidenti). Visto, in parallelo con la celebre definizione di Leonardo Sciascia, come uno strumento per acquistare consensi e perfino fare carriera. Ma che in realtà continua a suscitare reazioni uguali e contrarie.
Il cas(in)o Scurati
Nella seconda e consecutiva “festa rossa” per eccellenza, si chiude la querelle sorta nell’imminenza della prima, la (presunta) censura del servizio pubblico nei confronti di Antonio Scurati. Il cui soliloquio sul 25 aprile, fortemente critico verso il Premier Giorgia Meloni, non è andato in onda su Rai 3 come inizialmente pattuito. Scatenando pavlovianamente i radical chic nostrani, a partire dal diretto interessato che, intervistato da La Repubblica, ha tuonato contro la «svolta illiberale» in atto.
Un’argomentazione difficile da sostenere in un’epoca in cui chiunque può postare qualsiasi cosa sui social network, e coi media in stragrande maggioranza schierati contro l’esecutivo. E ancor più alla luce del fatto che lo stesso inquilino di Palazzo Chigi, come rileva l’ANSA, ha pubblicato sulle sue piattaforme l’ormai celeberrimo monologo.
A tagliare la testa al toro, però, è la constatazione che perfino Il Fatto Quotidiano, non certo tacciabile di simpatie filogovernative, ha demolito il sinistro teorema. Avendo infatti potuto consultare le carte, ha concluso che il pasticciaccio brutto di viale Mazzini è scaturito da un cortocircuito tutto interno a “mamma Rai”. Tra dirigenti, diciamo, troppo zelanti che ritenevano opportuna la partecipazione gratuita dello scrittore (che però nessuno si è premurato di avvertire). E la conduttrice di Chesarà… Serena Bortone che, non ricevendo dai suoi superiori una spiegazione immediata, si è immediatamente sentita in dovere di “denunciare” il fattaccio.
Nessuno, però, aveva mai pensato di imbavagliare la penna napoletana. Più che un caso, insomma, un casino.
L’antifascismo (in assenza di fascismo) non paga
Il “fuoco amico”, d’altronde, non ha colpito solo in senso specifico, ma anche più generale, nella persona del giornalista Enrico Mentana. L’ambito, stavolta, era il gruppo WhatsApp della pseudo-resistenza progressista creato, come riferisce Il Giornale, dal direttore de La Repubblica Massimo Giannini.
Ebbene, tenendo fede al suo soprannome, Mitraglietta ha sparato a zero proprio contro la raison d’être della “radical chat”, l’antifascismo (in assenza in fascismo). «Punto forte della critica intellettuale e dell’azione politica contro Meloni e i suoi, prima e durante la campagna elettorale del 2022, e ciclicamente da allora a ora. Eppure la destra ha vinto, e governa, e continua a essere davanti nei sondaggi. Non solo: è davanti negli altri due Paesi più importanti della nostra Europa, Francia e Germania».
Appare dunque incomprensibile l’insistenza nell’agitare uno spauracchio del tutto controproducente, sia in termini di appeal che di voti. Forse, per la gauche caviar la vera Liberazione dovrebbe essere quella dalla sua primigenia vocazione all’autolesionismo.
Anche perché, riguardo a questa particolare ossessione, molti gridano da tempo, alla stregua del bambino della celebre favola di Hans Christian Andersen, che l’imperatore è nudo. La reductio ad Ducem, cioè, non solo non serve: ma neppure paga.