Arturo, aggredito a Napoli a 17 anni: il libro sul calvario e la rivincita
Maria Luisa Iavarone è autrice di un libro crudo e doloroso che racconta la violenza subita dal figlio, Arturo Lavarone, la riabilitazione e i processi
La nostra intervista esclusiva a Maria Luisa Iavarone, autrice del libro “Il coraggio delle cicatrici Storia di mio figlio Arturo e della nostra lotta” che racconta il calvario e la rivincita dopo la terribile aggressione subita dal figlio, Arturo Puoti. Il ragazzo aveva solo 17 anni venne accoltellato e gravemente ferito alla gola, il 18 dicembre 2017 a Napoli. Gli autori, una gang di ragazzini cresciuti nell’abbandono e nella criminalità, tra cui anche il nipote di un boss della camorra, stanno scontando le loro pene.
“Questo libro è un racconto che parte da una storia vera, una brutta storia vera che purtroppo mio figlio ha vissuto sulla propria pelle. Ha vissuto forse l’esperienza più atroce e devastante che la vita ti possa riservare, un accoltellamento. Accoltellamento che avviene in un posto pubblico qualsiasi, sotto gli occhi di tutti, addirittura sotto le luci di Natale. Al terzo anno da questa vicenda e al compimento del terzo grado di giudizio, ho sentito la necessità di raccontarla. È un racconto crudo, personale, narrato per come noi l’abbiamo vista e sofferta. Abbiamo provato ad utilizzarla però anche come approfondimento di carattere giudiziario per fornire i non detti e oscurità che rimane sepolta sotto agli atti processuali. Quando il fascicolo è stato desecretato ho sentito il bisogno di restituirlo ai lettori sotto la lente dell’impegno sociale e della battaglia civile. Perché Arturo si sentisse restituito, oltre che nelle ferite fisiche, nell’aspetto più nobile di questa faccenda: il rovesciamento di essa, che non doveva essere solo dolore e sfinimento ma anche dignità, orgoglio e valore”.
Il disagio famigliare causa di violenza e criminalità
“È stata una scrittura terapeutica e salvifica che ha messo del balsamo su quelle ferite. Questo percorso lo abbiamo fatto con Nello Trocchia, noto giornalista d’inchiesta che si è tuffato con me nelle carte del processo. Sono 1500 pagine tra intercettazioni di vario tipo, trascrizioni, interrogatori, brandelli di comunicazione tra questi ragazzi e le loro famiglie. Mi sono resa conto che questo materiale costituiva una miniera di testimonianze e opportunità di riflessione, su quella che può essere l’eziologia dei comportamenti devianti e della criminalità.
Quando un minore devia gravemente è perché non ci sono stati adulti capaci di intercettare e ricomporre il loro comportamento e il loro disagio. L’impegno sociale consiste nel contribuire a restituire a questi ragazzi maggiore giustizia sociale. Giustizia, come dico a mio figlio, non è solo quella che si ottiene da un’aula di tribunale ma anche la possibilità di poter assicurare maggiori possibilità di realizzazione ai nostri giovani”.