As Roma, una partenza a corrente alternata
Vincere sarà l’unica cosa che conta, da altre parti. A Roma vincere non basta, bisogna sapere anche perché, soprattutto come, si vince
Serie A cominciata in maniera forse inaspettata per la Roma di Eusebio Di Francesco, che ha sì raccolto quattro punti, vincendo alla prima e pareggiando alla seconda contro l’Atalanta, ma che ha ugualmente arricchito la lista di scettici sulle sorti e sul futuro del gruppo giallorosso. Il vero rebus di questo campionato sono proprio i capitolini: che hanno cambiato, investito, cercato di migliorare il migliorabile ma che hanno tanto da lavorare. L’orchestra messa assieme da Monchi per Di Francesco ha musicisti potenzialmente di prim’ordine, assieme a quelli già presenti in rosa, tra veterani, bandiere e gente che indossa la casacca giallorossa da qualche anno.
La dirigenza giallorossa si è mossa bene, investendo laddove serviva, costruendo una squadra che in prospettiva ha ancora ampi margini di crescita. Se si esclude l’esperto ‘Nzonzi, l’acquisto di Justin Kluivert è un vero e proprio colpo in questo senso: il figlio d’arte olandese, scuola Ajax, farà parlare di sé ed in un certo modo ha già avuto un impatto piuttosto positivo sul nuovo campionato, decisamente più competitivo e combattuto della ormai modesta Eredivisie. Dicasi lo stesso di Coric, se vogliamo anche di Olsen, reduce da qualche stagione positiva e da un Mondiale sugli scudi ma erede di un passato non longevo ma pesante, legato al nuovo estremo difensore del Liverpool Alisson, che tanto si è saputo mettere in mostra nella scorsa stagione.
L’errore più grande che può commettere oggi la Roma, e di conseguenza i suoi tifosi, è specchiarsi nelle imprese della scorsa stagione, del tutto positiva con un terzo posto conquistato senza eccessivi patemi ed una semifinale di Champions League che grida vendetta ma che sa di impresa, una delle tante, da scrivere nell’almanacco giallorosso e raccontare ai posteri. Pensare che la Roma debba necessariamente ripetersi è uno sbaglio, perché esistono stagioni e stagioni ed altre volte si deve fare i conti anche con la dea bendata. La Roma ha, però, l’obbligo di riprovarci senza la presunzione di volerci riuscire a tutti i costi: scotti che, nel calcio di oggi, frenetico e sfrenato, si pagano cari.
E per lo scudetto? Ad occhi e croce, cucire ai giallorossi l’abito di anti-Juve potrebbe essere un azzardo: la Roma gioca bene, a tratti benissimo ed ha tante potenzialità, che spesso però rischiano di essere messe in secondo piano dalle amnesie, in difesa perlopiù: i tre gol subiti dall’Atalanta devono essere, in questo senso, un monito evidente ed incancellabile. Proprio contro la Dea sono venute alla luce alcune lacune a cui Di Francesco dovrà trovare soluzione: il centrocampo ha sofferto, e pure molto, orfano com’è di due linee guida come Nainggolan e Strootman, ceduto nelle scorse ore al Marsiglia. Pur sempre vero che i bergamaschi sono più avanti nella preparazione, causa preliminari di Europa League, ma ugualmente vero che il pareggio lascia un amaro in bocca dal doppio retrogusto: la partita doveva andare diversamente fin dal principio, e si era messa subito bene; il pari è in realtà una sconfitta evitata, altra grana da risolvere, psicologicamente.
Vincere sarà l’unica cosa che conta, da altre parti. A Roma vincere non basta, bisogna sapere anche perché, soprattutto come, si vince. C’è e ci sarà da lavorare: un bagaglio enorme di potenzialità che non può essere dissipato e che gioca sempre sul filo del rasoio. Il limite che separa una grande vittoria da un grande fallimento è sottile: la Roma, come primo compito, deve superare il limite e smentire, zittire gli scettici. In fondo è una prerogativa del DNA dei giallorossi. In fondo è un’impresa già riuscita.