Ascoli censura Codice Ratzinger. Intervento del vescovo di Bergoglio?
Si confida comunque nell’aiuto di cittadini marchigiani, per riparare questo gesto, lesivo delle libertà fondamentali di uno stato laico, libero e democratico
C’era una volta l’art. 21 della Costituzione italiana: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. C’era anche l’art. 7: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Ma tali articoli paiono ormai retaggi di un vetusto e polveroso passato.
Il 12 ottobre era prevista ad Ascoli Piceno, la 137esima conferenza in due anni (organizzata spontaneamente dai cittadini, fedeli e non) su “Codice Ratzinger”, il bestseller da 20.500 copie vendute, opera di chi scrive ed edito da Byoblu, che riguarda le pseudo-dimissioni di papa Benedetto XVI.
Il 17 settembre scorso, il comune di Ascoli, presieduto dal sindaco Marco Fioravanti, aveva dato l’assenso all’uso della Sala civica “dei Capitani” per presentare ai cittadini questo lavoro ciclopico: 4 anni di lavoro, 900 articoli, 1100 podcast, 2 premi giornalistici, 5 traduzioni del libro e, finalmente, un’istanza depositata presso il Tribunale del Vaticano regolarmente protocollata. Nonostante l’imponenza dello studio, al quale hanno partecipato avvocati, canonisti, latinisti, storici della Chiesa, filosofi, sui giornali mainstream l’argomento è un assoluto tabù.
Per questo i fedeli, da due anni, si organizzano a spese proprie per divulgare sul territorio la sconvolgente realtà della non-abdicazione di Benedetto XVI, e della sua sede impedita.
Tutto era pronto ad Ascoli, il sig. Fabrizio Filipponi, a proprie spese, aveva preparato dei manifesti che il Comune avrebbe affisso dietro pagamento della normale quota.
E invece, il 3 ottobre, arriva improvvisamente la revoca dal Comune sulla concessione della sala: nella comunicazione si fa appello all’art. 10 del regolamento comunale, dove si recede dall’impegno per non meglio specificate “ragioni di pubblico interesse”.
Ora, dato che alcuni manifesti erano stati già affissi, come risulta da questa foto relativa alla rotonda di Via Adriatico, è evidente che “qualcuno di molto autorevole” avrà telefonato in Comune per far procedere all’immediato annullamento della concessione della sala comunale nella “pia” illusione di fermare l’evento.
I sospetti degli utenti, come si legge dai commenti, inevitabilmente si accentrano sul vescovo, Mons. Gianpiero Palmieri, bergogliano doc come si vede dalla croce pettorale bergogliana che indossa spesso, con il curioso Buon pastore dalle braccia incrociate che tanto ha fatto discutere.
E’ stato inviato al vescovo un cortese audio messaggio, invitando il porporato, già dimostratosi molto aperto nel dialogo interreligioso coi musulmani, a presenziare comunque alla conferenza che tratta di una questione fondamentale per la sopravvivenza della Chiesa cattolica e della legittima successione petrina: nessuna risposta. (Peraltro sarebbe precipuo interesse del vescovo partecipare, onde sapere se la sua ordinazione vescovile, approvata da Bergoglio, è lecita oppure no).
Così come finora il sindaco Fioravanti, non ha risposto all’appello di ritirare il provvedimento. Il gesto del Comune non è piaciuto: come si legge, diversi commenti provengono da elettori delusi.
L’organizzatore della conferenza, il sig. Filipponi, quindi, dovrà sborsare diverse centinaia di euro per affittare una struttura privata, la Sala della Caccia nell’Hotel Guiderocchi, per garantire comunque i cittadini su quanto annunciato, ovvero una sede di grande prestigio e bellezza, così come gli ascolani avrebbero meritato in Palazzo dei Capitani.
Si confida comunque nell’aiuto di cittadini marchigiani, per riparare questo gesto, lesivo delle libertà fondamentali di uno stato laico, libero e democratico, che difficilmente potrebbe essere visto contrario al “pubblico interesse”, dato che non c’è nulla di più vitale ed essenziale per una società che conoscere la verità. E questa si può depositare solo attraverso la libera e rispettosa espressione di fatti, documenti e testimonianze.