Assange e la vergogna di certi giornalisti. Come capire se un giornalista fa bene il suo mestiere?
Peter Gomez ha detto che i giornalisti italiani anziché fare i cani da guardia del potere fanno i cani da riporto, perché “sono dei servi”
Persino per chi segue assiduamente la politica e le questioni socioeconomiche è difficile capire se un giornalista sa fare bene il proprio mestiere, figuriamoci per gli altri. Ma a volte può capitare, magari accidentalmente, di riuscire a scoprirlo.
Come capire la sincerità dell’informazione
Da giovane leggevo un solo giornale, quello che “dettava la linea”. Ma poi scoprii che diceva mezze verità e quindi mezze bugie. Smisi così di leggerlo, perché non mi fidavo più. Mi è successo anche con “Report”, quando mi resi conto che il loro esperto di urbanistica, diceva “inesattezze” per avvalorare le proprie tesi accusatorie. Da allora, pur apprezzando l’impegno di Report, ho sempre il timore che le loro inchieste siano viziate da teoremi privi di adeguata verifica. Nonostante queste delusioni, ho continuato a dare fiducia alla gran parte dei giornalisti italiani. Poi, il 25 giugno, c’è stata la liberazione di Julian Assange.
Le “colpe” di Assange
Assange, per chi non lo sappia, è un eroe, che ha pagato, con quattordici anni di sofferenze e privazione della libertà, il suo impegno di giornalista. Avrebbe dovuto ricevere un premio per aver pubblicato nel 2010 su Wikileaks, i file secretati, ricevuti dall’ex militare statunitense Chelesea Manning, nei quali si svelavano i crimini e le bugie inventate dall’Amministrazione USA, per scatenare la guerra del Golfo ed uccidere Saddam Hussein. Ha fatto ciò che deve fare un giornalista: indagare e scoprire se nell’attività di chi governa si compiono azioni illegali o si ingannano i cittadini. Ma Assange è stato trattato dal Governo americano come un criminale, con una serie di accuse che non hanno senso, in un regime democratico che assicuri la libertà di stampa.
La democrazia americana sotto accusa
Putin è giustamente considerato un dittatore, perché vuole imbavagliare la stampa ed eliminare, imprigionandoli, i giornalisti scomodi. Ma nel caso Assange gli USA si sono comportati nello stesso modo. Utilizzando l’Espionage Act, l’hanno accusato di spionaggio, impedendogli, non essendo americano, di difendersi come giornalista che ha fatto il suo lavoro nel pubblico interesse. D’altronde, l’Espionage Act non contempla questo caso, essendo una legge contro le spie, non contro i giornalisti. Tutto questo per aver semplicemente pubblicato i documenti che dimostrano gli inganni e le trame dei governanti americani.
L’hanno addirittura accusato di essere filorusso, perché con le sue rivelazioni ha messo in cattiva luce il Governo americano. Per questo è stato perseguitato per 2 anni con il chiaro intento di ucciderlo, costringendolo a rifugiarsi per 7 anni nell’Ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove ha vissuto da recluso, per finire poi incarcerato, sempre a Londra, per altri 5 anni, in attesa di sapere se sarebbe stato consegnato alle autorità americane, col rischio di scontare una condanna a 175 anni di carcere. Semplicemente per aver fatto il suo dovere di giornalista, quello di informare.
Giornalisti e “giornalai”
In questi ultimi anni, nei quali molti giornalisti fanno “inchieste” stando seduti alla scrivania e diffondendo, spesso senza alcuna verifica, notizie false prese dal web, uniformandosi al pensiero dominante e ponendosi al servizio del potente di turno, uno come Assange ci appare come un gigante. Forse è per questo che molti giornalisti di casa nostra lo odiano. In questi quattordici anni molti di noi, non tantissimi per la verità, grazie anche all’impegno di Amnesty International, ci siamo battuti per la libertà di Assange, rivendicando il diritto dei giornalisti di fare liberamente il loro mestiere.
Una battaglia di democrazia che hanno fatto quasi esclusivamente Marco Travaglio e “Il Fatto Quotidiano” difendendo costantemente e strenuamente il diritto di Julian Assange di fare giornalismo. Ma gli altri pseudo giornalisti di casa nostra, dov’erano?
Il silenzio colpevole e le mistificazioni della Stampa italiana
Il silenzio assordante della stampa italiana, che ha cercato di non dare il giusto rilievo alla notizia della liberazione di Assange, che avrebbe dovuto fare gioire tutti coloro che credono nella democrazia, mi ha disgustato. Ma mi ha disgustato ancora di più il tentativo di alcuni giornalisti, specialisti nel fare i lacchè, di infangare Assange, sostenendo che è colpevole perché egli stesso l’ha ammesso.
Secondo costoro, la dimostrazione della colpevolezza di Assange risiede nella sua decisione di patteggiare con il Governo USA, riconoscendo di aver violato le loro leggi. Ma cosa avrebbe dovuto fare, visto che quella era la sola via per salvarsi la vita? Ammettendo la sua “colpa” e accettando una pena corrispondente ai dodici anni di vita e di libertà che gli sono stati già tolti ingiustamente, è potuto tornare libero, ottenendo che la Corte Suprema inglese non lo consegnasse alla “giustizia” americana, che lo avrebbe fatto morire in carcere.
Una confessione da Santa Inquisizione
Come le vittime della Santa Inquisizione, Assange ha dovuto confessare una colpa inesistente. Ma per buona parte dei nostri giornalistucoli, questa è la prova della sua colpevolezza, dimenticando, come giustamente ha ricordato sul canale You Tube de “Il Fatto Quotidiano” Peter Gomez, che i giornalisti veri la legge devono violarla, “devono violare il segreto istruttorio e devono violare il segreto di Stato”, perché questo è l’unico modo per scoprire le malefatte del potere. Esattamente come fecero i giornalisti che svelarono i crimini di guerra USA in Vietnam o lo scandalo Watergate. Esattamente come ha fatto Julian Assange. Ma quelli furono premiati, perché erano americani, mentre Assange è australiano.
Questo vergognoso comportamento mistificatorio di certi nostri “giornalisti servi” mi ricorda l’altrettanto vergognosa risposta data dal P.M. Antonio Ingroia a un politico che, essendo stato assolto, rivendicava la propria innocenza. Ingroia disse che era stato assolto “solo perché non si erano trovate abbastanza prove”. Ma allora non si è mai innocenti! Cose da pazzi, o da cialtroni se preferite.
Il giudizio categorico di Peter Gomez
Peter Gomez ha detto che i giornalisti italiani anziché fare i cani da guardia del potere fanno i cani da riporto, perché “sono dei servi”. Ognuno di noi può decidere liberamente di essere servo di qualcuno, ma nessun giornalista si dovrebbe permettere di discutere il valore di ciò che ha fatto Julian Assange per la verità e la libertà di stampa. Qualcosa che a loro, evidentemente, è sconosciuto. Ma se lo fanno, sappiano, come dice Peter Gomez al quale mi associo totalmente, che oltre ad essere dei servi “sono delle merde”.