Assegnati a Cinecittà i David di Donatello
Tra una rosa di film che segnano un inizio di ripresa dal pauperismo di decenni di cinema italiano
I David di Donatello, gli Oscar nostrani, sono ieri stati annunciati nella cornice ritrovata di Cinecittà, in una cerimonia i cui molti lustrini sottolineano lo sforzo in atto per restituire alla cittadella romana del cinema il suo vecchio ruolo di Mecca italiana del film.
Dalla carrellata dei titoli in lizza, ciò che fa più piacere è constatare – ma da qualche tempo ce ne stavamo accorgendo incrociando le dita ed elevando peana alla decima Musa – promettenti segni di uscita del cinema italiano dalle secche delle operine-ombelico del cosiddetto giovane cinema italiano rimasto tale per decenni, misteriosamente immemore dei suoi padri.
I film che si sono contesi le varie categorie di premi sono stavolta in gran parte robusti, hanno carattere, non temono di confrontarsi su toni importanti con le cinematografie straniere, non esitano a riaffrontare il genere, espressione chi sa perché qui snobbata e dileggiata a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, nonostante abbia contato numerosi maestri nei diversi filoni.
Ma veniamo ai Premi.
La parte del leone è spettata a Freaks Out di Gabriele Mainetti con 6 David, e a È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino con 5; il primo come campione sul versante tecnico, con un fantasy all’americana sia nel contenuto che nella forma (non per niente fra le statuette troviamo fotografia, trucco, effetti…), che non rivela alcun segno da blockbuster de noantri. Il secondo qui meritatamente risarcito del mancato Oscar guadagnando i premi artistici più importanti: miglior film, miglior regia, oltre che miglior attrice non protagonista (la bravissima Teresa Saponangelo); coniugando visionarietà e intimismo, memorie private e genius loci di un’intera città. Entrambi gareggiavano con ben 16 candidature ciascuno.
Nel ruolo di protagonisti, Silvio Orlando per Ariaferma, ruolocarcerario che lui definisce “non nelle sue corde” ma in cui noi lo preferiamo ad altri titoli da lui interpretati che invece lo sarebbero. E – sorpresa – la giovanissima Swami Rotolo per A Chiara.
(Ri)emerge prepotentemente la vena napoletana (pochi sanno che questa fu in buona parte la culla degli esordi italiani nel cinema): per È stata la mano di Dio c’era addirittura la doppia candidatura della citata Saponangelo e di Luisa Ranieri, entrambe napoletane. Così Silvio Orlando, così il film Qui Rido Io di Mario Martone (miglior attore non protagonista Eduardo Scarpetta, pronipote omonimo del commediografo cui il film è ispirato; e migliori costumi). Così I fratelli De Filippo di Sergio Rubini, curiosamente incentrato anch’esso su quella prolifica famiglia.
Molto e doverosamente omaggiata la memoria di Ennio Morricone, sia adottato come colonna sonora dell’intera cerimonia, sia applaudito attraverso i premi ricevuti dal bellissimo documentario Ennio di Giuseppe Tornatore (raccomando anche la lettura del libro-intervista che ne ha fornito la base), film che è un omaggio devoto, un monumento all’amicizia, ma anche una chiave preziosa per entrare nel mondo spirituale e tecnico di questo grandissimo musicista che ha osato portare i canoni seicenteschi nelle colonne sonore, anche dei western.
Qualche delusione per Diabolik, che ha preso solo una statuetta, per la miglior canzone originale.
Insomma, il cinema. Futuro incerto per quello nelle sale, tallonato dall’offerta debordante delle piattaforme da godere sul divano di casa. Ma detentore di un richiamo esclusivo: la possibilità che offre di godere di un piacere condiviso con altri, di un’emozione sacrale, di un rito laico di immersione, in una sala buia. E i festival, e il David, ribadiscono proprio questo.