Attentato a Robert Fico: e se fosse successo a Macron o a Sanchez?
I toni sull’attentato a Fico sono stati molto moderati. Quasi asettici. Ma con un contrappunto, velenoso, di insinuazioni e sospetti
Immaginatevi se invece fosse successo a Macron. O al Primo ministro spagnolo, il socialista Pedro Sanchez. O al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
Immaginatevi se qualcuno avesse sparato contro di loro. E se si fosse trattato, ribaltando le caratteristiche dell’attentatore che ha ferito gravemente il premier slovacco Robert Fico, di una persona “di destra”. Che però, al pari dell’attentatore vero, compie il suo gesto – il suo tentato omicidio – perché semplicemente non condivide le politiche del governo in carica, peraltro legittimamente formato sull’onda delle elezioni del 30 settembre 2023.
Attentato al premier: la democrazia in pericolo
Già. Come sarebbe stata riportata e commentata la notizia? Con quanta enfasi? E quale costernazione? Con quanti inni alla “democrazia in pericolo” e quanto allarme per “l’estremismo intollerante che-torna-a-colpire”?
Non c’è bisogno di spremersi le meningi e lavorare di fantasia. Basta arrivarci per contrasto. Osservando il modo in cui, invece, ne hanno parlato i quotidiani del blocco (o blocchetto, viste le vendite ormai esigue) filo PD o ancora più a sinistra. La Repubblica, la Stampa, Domani, il Manifesto. I soliti. Gli immancabili.
Strano, vero? No.
I toni sono stati molto moderati. Quasi asettici. Ma con un contrappunto, velenoso, di insinuazioni e sospetti.
Punto primo. I dubbi sulle effettive motivazioni dell’uomo che ha aperto il fuoco. Sarà davvero un “lupo solitario”, che ha deciso e fatto tutto da solo, o invece ci sarà qualche oscuro mandante che lo ha condizionato, o addirittura incaricato di agire?
Apparentemente si nega. Tra le righe non si esclude
“Nelle modalità usate solitamente dal Cremlino, l’uomo che ha sparato sarebbe morto e non avrebbero permesso che finisse vivo nelle mani della polizia.” Traduzione: non è che Mosca non c’entra niente, è che stavolta il suo (ipotetico) copione sembra diverso
Punto secondo: le perplessità sulla dinamica dell’attentato. “Come è possibile che la scorta abbia permesso l’esplosione di almeno quattro pallottole prima di intervenire?”
Elementare: per sparare quattro colpi in rapida successione ci vogliono tre o quattro secondi. Lo si vede anche nei filmati e del resto è una conferma superflua. Inoltre, l’attentatore si trova al di là delle transenne che contengono il pubblico. Per quanto gli agenti della scorta possano essere veloci, o fulminei, hanno davanti a sé una barriera che li ostacola. Il tempo materiale di muoversi e quello che deve accadere accade. Il responsabile viene bloccato. Neutralizzato. Portato via.
Si poteva fare di meglio e più in fretta? Giusto al cinema. Forse.
Oplà: tutto si rovescia
Intorbidate a dovere le acque, sull’evento in sé stesso, si può estendere la manipolazione a qualcosa di più generale. Sbandierando la preoccupazione per ciò che potrebbe accadere di qui in avanti.
Attenzione, però. Mica la preoccupazione per la possibilità che ci siano degli emulatori che cercano di eliminare a revolverate gli “autocrati” di turno. Macché. L’inquietudine si concentra sulle possibili strumentalizzazioni, sia da parte delle autorità slovacche, sia in vista delle elezioni europee del prossimo giugno.
Il Manifesto: “il premier è grave, il governo ne approfitta per accusare stampa e opposizioni”.
Domani: “l’attentato al premier rischia di accelerare una svolta autoritaria. Tensioni nel Paese”.
La Stampa: l’Ungheria e la Slovacchia sono i “difensori di una linea politica illiberale e anti-migranti che si sta spesso rivelando un ostacolo all’unità europea”.
La Repubblica: “Bruxelles in allarme. Adesso Russia e Cina possono approfittarne”.
Il rovesciamento è completo. A fare fuoco è uno “di sinistra”. Il pericolo arriva “da destra”. Dai populisti di oggi e di domani. Da quelli dell’Est e da quelli dell’Ovest.
Certo: a Robert Fico non si doveva sparare (ci mancherebbe) ma insomma, ecco, è pur sempre quello che è.
Un “grande ammiratore di Putin”. Un “Viktor Orbán in Do minore”. Un leader “xenofobo, No Vax, accusato di ’Ndrangheta”. Eccetera eccetera.
Requisitoria e condanna in un sol colpo. Si sa: i sinceri democratici puntano l’indice. E pazienza se poi qualcun altro, meno accorto, punterà una pistola.
Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia