Attriti tra Conte e Di Maio. Giorno dopo giorno, i nodi vengono al pettine
Scambio di minacce a distanza. Cercando di affermare una leadership esclusiva che nel governo attuale non può avere nessuno: visto come è nato e perché
Ma insomma: comanda Conte, che è il presidente del Consiglio, o comanda Di Maio, che rappresenta il M5S e quindi detiene (più o meno) il pacchetto di maggioranza di questa stramba coalizione di governo?
Conte si comporta come se le decisioni finali spettassero a lui. E infatti, di fronte a chi mette in discussione la sua linea, lancia perentori altolà: «Qui bisogna fare squadra, chi non la pensa così è fuori dal governo». Di Maio non si fa pregare e replica a muso duro: «I toni “o si fa così o si va a casa” fanno del male al Paese, fanno del male al governo. In politica si ascolta la prima forza politica che è il M5S, perché se va a casa il M5S è difficile che possa esistere ancora una coalizione di governo».
“Si ascolta”, ovviamente, è la versione diplomatica di “si asseconda”. Il seguito, però, è del tutto logico soltanto a prima vista. Mentre lo diventa assai di meno se lo si osserva meglio e si approfondisce il concetto. La parte logica, e persino ovvia, è che l’eventuale defezione dei Cinquestelle farebbe crollare l’esecutivo come un castello di carte. Quella discutibile, o persino sballata, è credere che essere “la prima forza politica” della coalizione equivalga a poterla dirigere a bacchetta.
Ciò che è certo, invece, è che nella coalizione c’è ben poco di coeso. A conferma del fatto che questo imprevedibile sodalizio è nato fin dal primo momento in chiave anti Salvini, anziché in base a una visione omogenea dei problemi nazionali e delle relative soluzioni. Laddove quel poco di omogeneo è dato solo dalle pressioni UE a uniformarsi a certe direttrici economiche.
ABC (ignorato) delle coalizioni di governo
La conseguenza è che un po’ tutti fanno finta di ignorare la cosa più ovvia: qualsiasi coalizione nasce come un ibrido e le diverse preferenze, perciò, vanno ricomposte in una sintesi. Che è giocoforza un compromesso. Ma questa sintesi, almeno sulle linee guida, dovrebbe essere fatta prima di mettersi insieme. E invece, nell’ansia di evitare le elezioni anticipate, ci si è preoccupati solo di occupare Palazzo Chigi. Della serie: meglio litigare stando al governo che dialogare pacificamente, e approfonditamente, restando all’opposizione.
E se questo è vero anche per Renzi (e con ogni probabilità, benché in modo più nascosto, per Zingaretti) nel caso di Conte e Di Maio l’ambiguità è stridente. Il primo, infatti, è una “creatura” dello stesso M5S, visto che prima di essere piazzato a Palazzo Chigi si occupava di altro. Il secondo, in quanto “capo politico” del MoVimento è responsabile di averlo scelto: e sarebbe quanto mai interessante che venisse chiarito su quali basi. Anche per capire come mai, adesso, si manifestino questi contrasti. E con questi toni.
Come al solito, insomma, quando si dice “coalizione” bisogna aggiungere mentalmente, ma a caratteri cubitali, alcuni aggettivi. Il primo è “temporanea”. Il secondo è “turbolenta”. Il terzo è “instabile”. Il quarto è “infida”. E si potrebbe continuare.
Il risultato, in pratica, è che si tira avanti alla meno peggio. Inseguendo piccoli aggiustamenti da spacciare per grandi vittorie.
Ma se per Di Maio la finalità propagandistica è palese, specialmente adesso che la credibilità dei Cinquestelle è alquanto scossa, ciò che non è chiaro per niente è quale sia lo scopo di Conte: agli occhi di chi vuole mostrarsi quanto mai affidabile? Non avendo un elettorato da inseguire, chi sono i suoi “grandi elettori”?
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