Auto green, una crisi che è lo specchio del fallimento di Bruxelles
Anche la Cina “stacca la spina”, i produttori italiani dell’elettrico invocano incentivi contro ogni logica di mercato: ma la vera colpa è sempre dell’euro-genuflessione all’ambientalismo affermazionista
La crisi senza fine dell’auto green è lo specchio perfetto del fallimento delle misure ispirate al peggior ambientalismo affermazionista. Nonché di chi vi ha orientato le proprie politiche, in primis quell’Europa che ha provato ogni imbellettamento nella speranza di imbiancare l’evangelico sepolcro. Dimenticando come qualsiasi ideologia, a lungo andare, debba sempre fare i conti con la dura realtà.
La crisi senza fine dell’auto green
Il crollo delle vendite delle vetture alla spina sta “costringendo” sempre più aziende a rivedere le proprie strategie commerciali. L’ultima in ordine di tempo, come riporta la Reuters, è stata SAIC Motor, gigante cinese che addirittura starebbe valutando il taglio di migliaia di posti di lavoro. Rumour che, aggiunge Il Sole 24 Ore, un portavoce della casa di Shangai ha definito «inesatto», ma che proviene da due fonti interne.
I dubbi, quindi, permangono, e sono particolarmente significativi perché il gruppo del Paese del Dragone ha in essere accordi con euro-omologhi quali General Motors e Volkswagen. Che d’altronde, come spiegavamo, fa parte di quei costruttori che sull’auto green stanno compiendo una decisa retromarcia: e non è un caso isolato in Germania.
In effetti, il flop tedesco dell’elettrico desta particolare scalpore perché riguarda lo Stato tradizionalmente più “verde” del Vecchio Continente. Però si tratta di un trend comunitario comune da cui non è esente, come riferisce Italia Oggi, neppure il Belpaese. Dove i produttori reclamano incentivi statali contro ogni logica di mercato, che richiederebbe correttivi quali abbassamento dei prezzi o riduzione dei profitti.
La colpa è sempre della genuflessione all’ambientalismo affermazionista
Il problema è che, nella questione specifica, l’economia è contaminata da una pseudoetica che a sua volta è figlia dei deliri ecocatastrofisti. Quelli che, in modo del tutto antiscientifico, attribuiscono il climate change all’uomo, che invece ha un’influenza minima sul sistema più complesso presente sulla Terra.
Se dunque l’obiettivo è condurre il riottoso popolo alla terra promessa (dall’ecologismo), i nuovi Mosè dell’automotive possono sentirsi legittimamente giustificati nell’invocare provvedimenti da Robin Hood al contrario. Misure destinate a colpire chi non può permettersi un prodotto costosissimo ma, in un’ottica gretina, non deve esimersi dal contribuire (res ipsa loquitur) all’utopistica salvezza del pianeta.
Eppure, se i freddi numeri significano qualcosa, potrebbero essere il segno che, più ancora dei Bev (Battery Electric Vehicles), è la retorica allarmista ad aver esasperato. E quanti vi si sono acriticamente genuflessi rischiano seriamente di pagarne lo scotto, a cominciare proprio da Bruxelles. Per cui le Europee del prossimo giugno potrebbero essere il momento buono per… staccare definitivamente la spina.