Autonomia delle regioni: quali vantaggi? Ragioni e illusioni del regionalismo
Riflessioni a puntate su familismo, campanilismo, regionalismo, passioni sportive, sette, partiti e movimenti, patriottismo, nazionalismo, etnocentrismo, razzismo
Splendori e miserie del senso di appartenenza. Riflessioni a puntate e a piccole dosi su vari argomenti (familismo, campanilismo, regionalismo, passioni sportive, sette, partiti e movimenti, patriottismo, nazionalismo, etnocentrismo, razzismo) utili, forse, a capire meglio chi siamo; con particolare riferimento all'Italia e agli Italiani.
Ragioni e illusioni del regionalismo
Genesi tardiva ed emergenziale delle Regioni italiane. Un minimo di storia.
Nel XIX secolo esistevano alcuni stati federali (cioè caratterizzati da una netta preponderanza del potere federale centrale rispetto alla assai ridotta sovranità dei singoli stati membri) come gli Stati Uniti d'America, o confederali (contraddistinti da una spiccata sovranità dei singoli stati membri, rispetto ai fondamentali ma limitati poteri degli organi costituzionali centrali) come la Confederazione Elvetica. Non era sorto nessuno stato a fisionomia regionalista come l'Italia attuale. Il Regno d'Italia si strutturò secondo criteri di forte accentramento governativo e amministrativo condivisi dalla grande maggioranza dei paesi europei dell'epoca, e in particolare si ispirò al modello napoleonico di stato accentratore, articolato in organismi solo esecutivi a livello provinciale (prefetture, questure, intendenze di finanza, comandi militari, etc.) e in comuni dotati di limitatissima autonomia. Le prime proposte di legge dei deputati Farini e Minghetti per l'articolazione dello Stato in regioni non passarono il vaglio del Parlamento. Circa sessanta anni dopo, anche le analoghe iniziative di legge di Don Luigi Sturzo caddero nel vuoto.
Il regime fascista accentuò ulteriormente in senso autoritario i poteri centrali dello Stato e sostituì i sindaci eletti dai cittadini con i podestà nominati dal governo, per cui le riflessioni e le proposte concernenti un nuovo assetto del Paese secondo criteri di decentramento amministrativo e di autogoverno locale trovarono finalmente spazio solo tra il giugno del 1946 e il novembre del 1947, ossia nell'ambito dei lavori dell'Assemblea Costituente della Repubblica. Negli anni immediatamente successivi sono state messe in opera le autonomie delle Regioni a Statuto Speciale (Sicilia, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta e Sardegna, cui in seguito si è aggiunto il Friuli-Venezia Giulia). Tra il 1970 e il 1977 sono state organizzate le funzioni autonome delle altre Regioni a Statuto Ordinario. Alle Regioni è stata poi affidata la gestione operativa (rischiosissimamente esposta alle peggiori e meno oneste forme di comportamento amministrativo) del Servizio Sanitario Nazionale. La Costituzione repubblicana delinea al Titolo V i poteri di Comuni, Province e Regioni e in particolare, per queste ultime, i poteri legislativi e regolamentari del tutto autonomi, i poteri “concorrenti” con quelli dello Stato ed i poteri di competenza esclusiva dello Stato.
Origine emergenziale delle Regioni a Statuto Speciale
L'Italia post-bellica, sebbene definita “cobelligerante” dagli Alleati dopo l'armistizio reso noto l'8 settembre 1943, era di fatto considerata una nazione arresasi dopo una tremenda sconfitta militare. C'era quindi da temere e scongiurare, se possibile, la perdita di territori di confine demograficamente ed economicamente rilevanti, oltre che plurisecolarmente legati alla storia e alla cultura italiana. Nel processo di ridefinizione dei confini tra i paesi europei non era da escludere un'opzione dei vincitori e/o delle stesse popolazioni interessate a fare passare certe regioni sotto la sovranità austriaca (Trentino e Alto Adige, italiani solo dal 1918), jugoslava (Friuli-Venezia Giulia), francese (Valle d'Aosta) o in condizione di totale indipendenza (Sardegna) o addirittura come 49° stato degli U.S.A. (Sicilia).
I primi governi repubblicani hanno quindi gestito e alla fine concluso, più o meno secondo gli auspici, convulse trattative negoziali di assai basso profilo politico e morale, sostanziate da ricatti, controricatti e blandizie, infine tradottesi per le Regioni a Statuto Speciale in imponenti vantaggi di autonomia legislativa, di trattamento fiscale, di generosissimo finanziamento da parte dello Stato, che hanno segnato un abnorme e discutibilissimo divario tra le Regioni suindicate ed il resto del Paese.
Particolarmente faticosa è stata la trattativa con l'Austria ed i Trentini-Sudtirolesi; ancora più faticosa e foriera di disastrose conseguenze future quella riguardante la Sicilia, là dove il rancore antiunitario e secessionista derivava (in parte a ragione) dal secolare squilibrio tra lo sfruttamento a buon mercato delle risorse produttive isolane a fronte di contropartite ridicolmente esigue. Il radicato malcontento popolare si intrecciò in miscela esplosiva con gli interessi della mafia locale e di quella italo-americana, a loro volta finanziatrici del seguitissimo e crescente Movimento Indipendentista Siciliano di Andrea Finocchiaro Aprile e del reclutamento di un sedicente “esercito di liberazione” affidato alle brigantesche capacità tattiche del bandito Salvatore Giuliano, noto massacratore di cittadini riunitisi il primo maggio 1947 a Portella della Ginestra.
Da allora e fino ad oggi la classe politica siciliana, costantemente replicantesi in maggioranze “centriste”, in parte ambiguamente contigua alle cosche mafiose apportatrici di voti in cambio di semi-impunità e di lucrosi appalti, ha gestito poteri e risorse secondo criteri di scoordinata spartizione tra i vari territori e le innumerevoli correnti politiche, e di tolleranza verso destinazioni puramente clientelari e talora sfrontatamente illegali delle azioni di governo e delle risorse finanziarie. Venti anni dopo, la Calabria ha eguagliato e talora superato la Sicilia nei caotici abusi amministrativi e negli ambigui contatti e patti con le cosche della 'ndrangheta.
Prescindendo dai nessi perversi con la mafia, la funzione legislativa e amministrativa delle altre Regioni, non importa se a Statuto Speciale o a Statuto Ordinario, si è differenziata dalla situazione calabro-sicula solo perché gestita forse in senso un po' meno ingentemente e meno scandalosamente clientelare e improduttivo, ma non certo per una moralità di governo qualitativamente diversa. La pubblica opinione, da Vipiteno a Lampedusa, non ha esitato infatti a definire coralmente le amministrazioni regionali con il poco lusinghiero appellativo di “mangiatoie”.
Non si tratta di una diffidenza di tipo “qualunquistico”. Le cronache giudiziarie di questi ultimi decenni lo hanno purtroppo abbondantemente confermato.