Roma, avrebbe avuto 35 anni a giugno: è morto investito sul Muro Torto
Carlo Patrignani, papà del giovane travolto e ucciso in un incidente sul Muro Torto, ci racconta il suo travaglio
Un mese fa, un giovane che avrebbe compiuto 35 anni il 4 giugno prossimo, medico all’ultimo anno di specializzazione in anestesia al Policlinico Umberto I° di Roma, ritornava attorno alle 13,30 a bordo del suo scooter Kymco 150 nella nuova casa di Monteverde, dove si era trasferito da un paio di giorni. E da qualche settimana aveva individuato nell’ospedale San Camillo, reparto di terapia del dolore, il luogo dove da settembre avrebbe potuto esser trasferito per far esperienza sul campo in vista di ritagliarsi per sé un eventuale futuro lavoro. L’aver messo assieme la nuova casa e la possibile base di lancio per il lavoro, lo rendevano sereno e fiero di se stesso. Ma, ultimata la salitella del sottopassaggio pinciano, un furgone-killer della Hertz noleggio nell’immettersi dal Galoppatoio sul Muro Torto, ne interrompeva violentemente la marcia da croceria prendendolo in pieno e del tutto inaspettatamente sul fianco destro: il colpo improvviso lo faceva volare per un paio di metri prima di finire a terra sulla corsia di sinistra e mezzo metro dal guard rail mentre il Kymco pressocchè integro scivolava avanti di un paio di metri appena avanti al furgone-killer, il cui conducente non si era accorto di nulla salvo fermarsi al boato prodotto dal contatto mortale.
Altro che un tamponamento o uno scontro della moto contro il furgone-killer, come ipotizzato dalla pattuglia dei vigili del II Gruppo, arrivati sul posto almeno un’ora dopo l’impatto, quando i mezzi erano stati rimossi dal punto dell’impatto, da prefigurare l’occultamento delle prove e quando ormai non c’erano più né l’automedica né l’ambulanza del 118, che giunta alle 13,42 sul posto, alle 14,00 lasciava in codice rosso lo sfortunato medico alle cure dei suoi stessi colleghi del pronto soccorso del Policlinico Umberto I° di Roma.
Alle 17,55 il decesso per politrautismo corporeo, per le lesioni interne riportate in parallelo solo sul fianco destro: polmone, fegato, addome, rene. Il colpo violentissimo con lo spigolo posteriore di sinistra del furgone killer non lasciava scampo al giovane medico che per il resto non evidenziava escoriazioni, fratture, abrasioni, ferite agli arti superiori e inferiore né al viso. Davvero fantascientifica la versione dei vigili: nulla dalle lesioni solo interne e solo sul fianco destro, fino al trauma cranico escluso dalla Tac, allo stato pressocché intatto del motoveicolo, dal parabrezza al cupolino, dal parafango alla forcella, dagli specchietti retrovisori alla ruota stessa, era compatibile con il tamponamento o con lo scontro da parte del Kymco contro il furgone.
Troppo sbrigativa e superficiale la versione tamponamento o scontro e decesso, uguale il caso è chiuso: versione avallata almeno inizialmente dal Pm Roberto Felici che convalidava il sequestro del furgone, del motoveicolo e del casco, immediatamente comunicati dai vigili lo stesso 7 aprile, e disponeva non già l’autopsia ma la semplice visione della salma e non disponeva la prova cinetica irripetibile per chiarire la dinamica dell’incidente.
Solo una tambureggiante campagna di stampa con appelli del tipo: “Chi ha visto parli” e un altrettanto tambureggiate volantinaggio da via Veneto a Piazzale Flaminio, produceva l’effetto sperato: ben sei persone aderivano all’appello e si rendevano disponibili a testimoniare su quanto avevano potuto vedere in quel maledetto martedì 7 aprile di un mese fa. Un movimento spontaneo e generosissimo della gente permetteva, con i referti dei sanitari del 118 e i primi soccorsi di una dottoressa specializzanda in pediatria al Bambin Gesù, nonché di un’avvocatessa che si trovava appena mezzo metro dietro il motoveicolo preso in pieno dal furgone-killer, di ribaltare in toto la tesi lacunosa, superficiale, frettolosa dei vigili: e così a far le indagini del caso per fugare dubbi e perplessità non sono state le persone preposte, ma i cittadini comuni uniti dalla fortissima convinzione che il medico 35enne era così sereno e contento, stava così bene e amava così tanto la vita che non poteva essersi suicidato andando a tamponare o a scontrarsi contro il furgone.