Babbo Natale, Gesù bambino e altre entità, tra il sacro e il profano
Erano gli anni del Gesù di Zeffirelli in televisione, dei grandi presepi, della Befana e di Babbo Natale e della Santa Messa in tv
Sono cresciuto nella Roma nord degli anni 70, quando ancora a viale Libia c’era il negozio di giocattoli Girotondo ed all’angolo subito dopo il bar Motta. Nel periodo natalizio si respirava il profumo degli abeti, quelli veri, e le vetrine erano piene di colori e di addobbi ricercatissimi.
Che tempi belli che abbiamo vissuto
Un cartoccio di caldarroste non costava un quinto dello stipendio come oggi e un ghiacciolo Arcobaleno o Magic Cola lo si pagava appena 50 lire. Era una Roma intrisa di sana religione e di popolare superstizione. All’epoca gli oratori si riempivano di bambini e i cinema parrocchiali , i “pidocchietti”, col soffitto che si apriva tra il primo ed il secondo tempo per fare uscire il fumo delle sigarette, ci offrivano al prezzo di 100 lire la visione di film indimenticabili, popcorn e una strana aranciata in una busta argentata che per berla occorreva infilarci una cannuccia appuntita.
Erano gli anni del Gesù di Zeffirelli in televisione, dei grandi presepi, della Befana e di Babbo Natale e della Santa Messa che tutte le famiglie seguivano la domenica in tv. Come molti miei coetanei sono cresciuto circondato da personaggi sacri ed entità misteriose. Ricordo che albergava in me una confusione pazzesca.
Chi era il Gesù più importante?
C’era Gesù Bambino, che era quello del presepe. Poi c’era Gesù di Nazareth, quello dello sceneggiato in tv. C’era anche il Gesù delle preghiere la sera prima di andare a dormire e poi c’era Cristo, che il solo nominarlo mi faceva paura forse perché il suono nella parola greca è meno dolce del suono del nome Gesù.
Per non parlare di Dio, del Signore e del Padreterno. Credevo fossero tutti personaggi diversi tra loro. Ero davvero molto confuso.
Babbo Natale e la Befana
Poi c’erano Babbo Natale e la Befana che credevo fosse sua moglie e mi chiedevo perché mai Babbo Natale, in fondo un bell’uomo, avesse sposato una strega così brutta con un neo gigantesco e peloso sul naso e che volava su una scopa. E la sera prima di andare a dormire mia nonna mi invitava a farmi il segno della croce nel nome del Padre in alto, del figlio in basso e dello Spirito a sinistra e Santo a destra cosicché nella mia mente di bambino anche questi erano altri quattro personaggi distinti tra loro.
Ma non finiva li. Per non farci mancare nulla vi era poi una schiera di altre entità che invadevano la vita di tutti. Quando nasceva un bel bimbo si diceva fosse un dono di Dio ma se malauguratamente veniva alla luce un bambino con delle deformità si usava dire che era uno scherzo della natura o il frutto di un destino impietoso.
Non c’era da preoccuparsi con la Divina Provvidenza
In base a quanto accadeva di buono o di cattivo ci si appellava alla fortuna o alla sfortuna così come alla sorte. C’era anche la questione del destino e infine La Divina Provvidenza. Vi confesso che nella mia mente e nel mio cuore albergava la confusione più totale e non capivo perché Dio Onnipotente avesse dovuto nominare tutta una serie di subalterni che si occupassero delle vicende degli uomini. Così quando nel mio quartiere, a Monte Sacro, un albero cadde a pochi centimetri da un abitante senza però colpirlo, tutti gridarono al miracolo e alla Divina Provvidenza e tempo dopo, quando un altro signore morì a causa di un lampione che gli cadde sul capo, tutti gridarono alla sfortuna e al destino crudele.
E io continuavo a non capire perché, quando qualcosa di bello accadeva, il merito era di Dio, mentre le cose brutte erano sempre colpa del destino, del fato, della sorte, della sfortuna, oppure del diavolo.
Già, perché c’erano anche il diavolo, Satana e Lucifero…troppo complicato per me.
Mi è parso interessante, a cinquant’anni di distanza, esaminare alcune di queste “entità” soprannaturali, di capirne le origini, il significato e il ruolo che ricoprono nella religione, nella filosofia e nella lingua italiana.
Fato, destino, sorte, fortuna, Divina Provvidenza
Chi si reca dal tabaccaio per giocare la schedina del totocalcio o quella del superenalotto in genere incrocia le dita, spera che la fortuna lo aiuti ad indovinare i numeri vincenti e se dovesse vincere si riterrebbe probabilmente baciato dalla buona sorte, beneficiario di un destino gentile, di un fato propizio, sorteggiata da una fortuna che il dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, definisce la «presunta causa degli eventi e delle circostanze non spiegabili razionalmente» e che nell’antichità era una divinità.
Qualcuno poi , simpaticamente, attribuirebbe la vincita ad un fondoschiena decisamente grande del fortunato vincitore. Nessuno si permetterebbe di scomodare Dio per potere vincere una mano di tombola la sera di Natale, sarebbe davvero eccessivo.
La sorte è definita nella lingua italiana come: “forza misteriosa che si ritiene determinare gli eventi e l’esistenza degli uomini in modo imprevedibile o irrazionale: buona, cattiva sorte, sorte avversa, favorevole, essere in balia della sorte, confidare nella sorte.
Il fato e il destino
Il fato era invincibile e persino gli dei vi dovevano sottostare. Persino Giove non era che un mero esecutore del Fato.
Fato è un termine di origine latina (fatum, ovvero ciò che è detto).
Nel linguaggio moderno il termine fato è stato sostituito da quello di destino che nell’antichità però differiva nel suo significato da quello di fato proprio perché questi non poteva essere modificato, ma il destino si.
Per i romani antichi infatti il destino poteva essere cambiato poiché inerente alle caratteristiche umane: ciascuno è artefice della propria sorte. L’unico artefice del proprio destino è dunque l’uomo stesso.
Una volta il cerimoniale cattolico del matrimonio conteneva l’espressione: “Amatevi nella buona e nella cattiva sorte”. Poi siccome la parola “sorte” richiamava troppo la parola pagana “destino“, si preferii sostituirla con “salute”.
Curioso perché il destino sembrerebbe essere molto simile al concetto di libero arbitrio proprio del cristianesimo.
In situazioni davvero importanti e spesso drammatiche, il credente chiede una grazia rivolgendosi direttamente alla Divina Provvidenza.
La Divina Provvidenza è il termine teologico religioso che indica l’insieme delle azioni operate da Dio in soccorso degli uomini, per aiutarli a realizzare il loro destino.
Appare evidente che i vari termini si fondono e confondono
Il sacro ed il profano convivono, come il bianco innevato presepe ( in Palestina nevicava duemila anni fa? ) che vede Gesù e i pastori e l’albero di Natale accanto. Simboli Cristiani e pagani, così diversi, così distanti ma uniti da un unico sentimento di gioia e di fede.
Quelle che possono sembrare delle contraddizioni, persino al limite del blasfemo, come il fatto di evocare entità e personaggi sacri o profani per un motivo o per l’altro, sono solo frutto di tradizioni antiche, di modi di dire radicati nel linguaggio e nella cultura, a volte dettati da un senso di pudore e di rispetto verso un Dio che non può certo essere scomodato per vincere al totocalcio ma che al contempo, paradossalmente, viene ringraziato se si realizza un calcio di rigore.
E se l’ultimo bullone, ancora in orbita, della stazione spaziale russa Mir si schiantasse sul cofano della nostra automobile spingendoci ad insultare la sfiga (sfortuna) , grideremmo invece al miracolo se il bullone ci piombasse ad un centimetro dal nostro piede.
Siamo un popolo incredibile, affascinante. Noi italiani , superstiziosi e ferventi credenti al contempo. Grandi bestemmiatori che si fanno il segno della croce prima di pranzare. Che si inchinano davanti a San Gennaro, con un cornetto rosso in tasca per allontanare la malasorte…
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