Benedetto il katéchon, la profezia di San Paolo e il Padre Nostro
Per l’Apostolo delle Genti Dio invierà una “potenza d’inganno” per mettere alla prova l’uomo: e se la versione modern(ist)a della preghiera ne fosse un perfetto esempio?
L’ipotesi che sia davvero Papa Benedetto il katéchon (il “trattenitore” del Male) preconizzato da San Paolo potrebbe incredibilmente avere un riscontro nell’attualità. Un riscontro, almeno all’apparenza, piuttosto paradossale, per esempio perché i suoi prodromi risalgono (di nuovo) a circa 2.000 anni fa. Ma anche perché coinvolge una delle decisioni più discusse e discutibili del Vaticano odierno – la “riforma” del Pater Noster.
La “potenza d’inganno”
Come abbiamo già spiegato, la figura del katéchon è stata delineata nella Seconda lettera ai Tessalonicesi da Paolo di Tarso. Che profetizzò che, prima della seconda e ultima venuta di Gesù Cristo, «dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione» (2Ts 2, 3). Precisando che «il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene» (2Ts 2, 7).
Come poi ha fatto notare il giornalista di Libero Andrea Cionci, la profezia escatologica non si ferma qui. L’Apostolo delle Genti aggiunge infatti che la venuta dell’empio sarà accompagnata da segni e prodigi menzogneri, atti a traviare quanti non avranno accolto la Salvezza. «Perciò Dio manda loro una potenza d’inganno perché credano alla menzogna; affinché tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma si sono compiaciuti nell’iniquità, siano giudicati» (2Ts 2, 11-12).
Naturalmente, dal punto di vista teologico si può escludere categoricamente che Dio sia l’autore del Male. Però può mettere l’uomo alla prova anche inducendolo in tentazione, come d’altronde è accaduto svariate volte nell’Antico Testamento. Per caso vi suona familiare?
Benedetto il katéchon e il Padre Nostro
Benedetto XVI, nel primo volume della trilogia “Gesù di Nazaret”, ha dedicato ampio spazio alla preghiera del Padre Nostro. Incluso il versetto “e non c’indurre in tentazione” di cui nel frattempo è stata modificata la traduzione. O, per meglio dire, mistificata.
Ovviamente, non v’è dubbio alcuno che il tentatore sia il Diavolo, ma solo perché il Creatore gli dà «un po’ di mano libera». Come infatti ricorda Joseph Ratzinger facendo riferimento all’episodio del patriarca Giobbe, «Dio non lascia cadere l’uomo, ma permette che venga messo alla prova». E questo per due motivi specifici, individuati da San Cipriano: «come penitenza per noi, per smorzare la nostra superbia», oppure «per la Sua gloria».
E dunque, conclude Papa Ratzinger, l’invocazione va intesa da un lato come «disponibilità a prendere su di noi il peso della prova commisurata alle nostre forze». E dall’altro come «domandache Dio non ci addossi più di quanto siamo in grado di sopportare», come d’altronde ancora San Paolo aveva attestato (1Cor 10, 13).
L’interpretazione moderna, anzi modernista dell’orazione ne cambia invece il significato in modo radicale. Come ha sottolineato lo psicologo Rocco Quaglia, «induce il fedele a pensare che Dio possa abbandonarlo», il che non è solo assurdo, ma addirittura blasfemo. Però potrebbe costituire un esempio perfetto di quella “potenza d’inganno” paolina a cui Benedetto il katéchon continua strenuamente a opporsi, perfino dalla sede impedita. Liberaci dal Male, viene proprio da supplicare.