Benedetto XVI, il mistero sulle (non) dimissioni si infittisce… o si chiarisce?
Il Papa tedesco si rivolge al giornalista Cionci in pieno “Codice Ratzinger”. E spuntano delle vecchie dichiarazioni di Messori che confermano l’ipotesi della sede impedita
Torniamo a occuparci del caso delle (presunte) dimissioni di Benedetto XVI, la cui celeberrima Declaratio, con tutta probabilità, era piuttosto un’attestazione di (Santa) Sede impedita. Ci sono stati infatti un paio di sviluppi che parrebbero corroborare ulteriormente l’ipotesi. Uno dei quali porta la firma (in senso pressoché letterale) dello stesso Joseph Ratzinger.
La rivelazione di Messori su Benedetto XVI
Nel giugno 2016, il più grande giornalista cattolico, Vittorio Messori, intervenne a un convegno a Milano. La registrazione pubblica è stata tagliata, ma adesso è stata segnalata la versione integrale con lo spazio finale dedicato alle domande degli astanti. In cui lo scrittore torinese, amico di lunga data di Papa Ratzinger, riferiva di un incontro privato che aveva avuto da poco col Successore dell’Apostolo Pietro. E sui cui contenuti vige tuttora il più stretto riserbo.
«Se avessi detto al Corriere alcune delle cose che Ratzinger mi ha detto, beh… avrei riempito le cronache per parecchio tempo» ha rivelato Messori. Aggiungendo comunque un dettaglio molto significativo: a Benedetto XVI «arrivano soltanto le notizie che decidono gli altri». Lui «non vede la tv, non ascolta la radio» e «riceve soltanto due giornali: il Corriere della Sera e la Frankfurter Allgemeine Zeitung».
Il mistero sembra dunque infittirsi, ma non è detto, paradossalmente, che allo stesso tempo non si stia chiarendo. Perché le parole di Messori rafforzano l’idea che il Pontefice tedesco si trovi in condizione di sede impedita. Ma, soprattutto, perché riflettono un recentissimo intervento proprio di Sua Santità.
La lettera di Benedetto XVI
Nell’ottobre scorso, il collega Andrea Cionci, autore della principale inchiesta sulla “rinuncia” di Benedetto XVI, ha scritto al diretto interessato. «Sono un giornalista» si è presentato, «e, da due anni, scrivo assiduamente di Lei su Libero e su ByoBlu. Lei immagina quanto sarei onorato se potessi intervistarLa, ma so che non avrebbe il tempo né soprattutto il modo di ricevermi…»
Una scelta lessicale, quest’ultima, affatto casuale, perché in sede impedita il Vescovo (incluso quello di Roma) non è solamente impossibilitato a esercitare l’ufficio pastorale. Non è neppure «in grado di comunicare», nemmeno per via epistolare, come prescrive il Canone 412 del Codice di Diritto Canonico del Vaticano. E, da questo punto di vista, la risposta giunta dal monastero Mater Ecclesiae è folgorante.
La missiva è stata redatta da Mons. Georg Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia fin dal 2012 – quindi prima del “ritiro” di Papa Benedetto. «Non si è mancato di prendere in attenta considerazione la richiesta avanzata» ha assicurato il prelato. Tuttavia, «pur con ogni buon intento, non è proprio possibile venire favorevolmente incontro al Suo desiderio».
L’interpretazione della missiva
Quest’ultimo inciso, ça va sans dire, può legittimamente essere interpretato come conferma della situazione canonica del Santo Padre. Ma forse la prima parte è ancora più interessante, perché implica che il Vicario di Cristo conosce o è stato informato del lavoro di Cionci. E non solo non lo ha liquidato come boutade o assurdità, ma anzi si è rammaricato di non poter conferire con il cronista.
Siamo di fronte a un esempio perfetto di quello che il collaboratore di viale Majno ha battezzato col nome di “Codice Ratzinger”. Il fine e arguto modus communicandi adottato da otto anni dal mite teologo bavarese, fatto di giochi di parole, enigmi, rompicapi e anche ironia. E non è finita qui.
Tradizionalmente, il Prefetto della Casa Pontificia inquarta (cioè unisce) il proprio stemma araldico con quello del Pontefice regnante. E infatti dal 2017 quello di Mons. Gänswein è ufficialmente unito allo scudo di Jorge Mario Bergoglio. Tuttavia, nella lettera inviata a Cionci il blasone dell’arcivescovo di Urbisaglia è inquartato con quello da Papa regnante di Benedetto XVI.
Il simbolismo è potentissimo, e oltretutto ha anche i connotati di una dantesca legge del contrappasso, visto che una delle possibili cause della querelle fu lo scandalo Vatileaks. E non suonerebbe poetico se, dopo la vergognosa pubblicazione della posta privata di Sua Santità, a risolvere l’affaire fosse proprio una sua nuova lettera?