Benedetto XVI, quelle allusioni di Mons. Gänswein alla sede impedita…
Per il Prefetto della Casa pontificia un Pontificato si può valutare solo ex post, il che implica che quello di Papa Ratzinger non è finito: e c’è quella parolina in Codice a Seewald…
Continuano a moltiplicarsi gli indizi relativi all’affaire delle non-dimissioni di Benedetto XVI, la cui celeberrima Declaratio era, con tutta probabilità, un’attestazione di (Santa) Sede impedita. Alcuni di questi indizi riemergono da un passato vicino e insieme lontanissimo, come tessere di un puzzle misterioso che solo ora iniziamo a comporre correttamente. Vale anche per l’ultimo, che risale a cinque anni fa e ha per protagonista un insospettabile: e a cui RomaIT darà ora un ulteriore contributo.
Le sottili allusioni di Mons. Gänswein
Il 21 maggio 2016, l’agenzia cattolica ACI Stampa riferiva di un discorso tenuto da Monsignor Georg Gänswein, Prefetto della Casa pontificia già sotto Papa Ratzinger. L’occasione era la presentazione di un libro sul Pontefice tedesco scritto dallo storico don Roberto Regoli.
Un lustro dopo, il collega Andrea Cionci, autore della principale inchiesta sulla “rinuncia” di Benedetto XVI, ha analizzato con più attenzione l’intervento dell’arcivescovo di Urbisaglia. Rileggendolo sulla base di quello che lui stesso ha battezzato “Codice Ratzinger”, un modus communicandi fatto di giochi di parole, enigmi, rompicapi e tanta ironia.
Per questo nuovo capitolo dell’indagine rimandiamo volentieri a Libero, dove il lettore potrà trovare un resoconto dettagliato delle questioni spinose e intriganti affrontate da Mons. Gänswein. Come l’affermazione che Joseph Ratzinger «non ha abbandonato l’ufficio di Pietro – cosa che gli sarebbe stata del tutto impossibile a seguito della sua accettazione irrevocabile dell’ufficio nell’aprile 2005». Un’esegesi che ovviamente stona con la vulgata dell’abdicazione, ma che casualmente si accorda benissimo con l’interpretazione della Declaratio come certificazione di sede impedita.
Benedetto XVI e la sede impedita
Qui, però, vogliamo concentrarci su un punto preciso della relazione, quando il prelato si è chiesto se si potesse già «fare un bilancio del Pontificato di Benedetto XVI». Rispondendo negativamente, poiché «nella storia della Chiesa, solo ex post i Papi possono essere giudicati e inquadrati correttamente».
Una locuzione, quella latina, molto significativa, perché significa “a posteriori”, ovvero solo al termine del servizio come Vicario di Cristo. Il che implica che quello di Papa Benedetto non è ancora finito – o almeno a questo alludeva, a tre anni dalla Declaratio, Monsignor Gänswein. Che d’altronde, come abbiamo recentemente raccontato, usa ancora lo stemma araldico inquartato (cioè unito) con quello da Pontefice regnante di Joseph Ratzinger.
Ancora una volta, il rebus si risolve solamente ammettendo la pre-condizione di sede impedita. E, a tal proposito, sono ancora una volta estremamente eloquenti i libri-intervista del giornalista teutonico Peter Seewald. Nel caso specifico, Ultime conversazioni, e segnatamente un passo in cui l’autore poneva a Benedetto XVI una domanda sulla paura della morte. «In primo luogo c’è il timore di esser di peso agli altri a causa di una lunga invalidità» fu la risposta del mite teologo bavarese.
Si dà però il caso che la parola “invalidità”, come riportava la Bild, traduca il termine tedesco Behinderung, che può corrispondere anche a “impedimento”. Anzi, letteralmente l’espressione usata da Sua Santità si può rendere come “lungo periodo di impedimento”. Per caso vi suona familiare?