Bertolt Brecht e il pensiero della Storia
“I filosofi hanno soltanto interpretato il mondo, si tratta di cambiarlo”
La cultura umanistica, intesa come quella particolare forma del sapere europeo-occidentale che è persuasa che ci sia l’uomo al centro dell’impresa della conoscenza, si dà soprattutto come riflessione sul passato. Riflessione sul passato attraverso la quale ci si prepara al futuro.
Così, volendo meditare un aspetto del nostro passato recente – in fondo, un secolo, o poco più, non è molto di fronte a venticinque secoli di tradizione europea – è doveroso ripensare il comunismo, come uno dei grandi protagonisti della storia politica e culturale del Novecento.
Il comunismo, come esperienza storica e politica, è stato in gran parte sconfitto. Ciò non è un male, se si pensa al disastro che ha rappresentato l’Unione Sovietica, sotto molteplici punti di vista. Si pensi a Stalin, al terrore poliziesco, ai Gulag.
Oppure, all’odierno comunismo cinese. Ma da quando il liberismo americano ha vinto su tutta la linea, su scala globale, ad eccezione della Cina appunto, il patrimonio culturale di quella tradizione è stato gettato alle ortiche. Dal nostro punto di vista, questo non è un bene.
Grandi maestri
Ciò non solo perché l’insistenza su valori come quelli della solidarietà e dell’uguaglianza, non è da sottovalutare. Ma anche perché, da Marx e Engels in poi, i grandi esponenti della cultura comunista europea furono autentici maestri del pensiero politico, storico, sociale, nonché grandi letterati, artisti, uomini di cultura.
Basti pensare a filosofi come Benjamin e Adorno, a poeti come Brecht, a pittori come Picasso, ai nostri Calvino, Sciascia, Pasolini, a pensatori e letterati a tutto tondo come Sartre e Camus.
O al dogmatico Lukács, che pure non può essere trascurato da nessuna storia della cultura novecentesca che si rispetti. O ad un rivoluzionario come Ernesto Che Guevara che è diventato, tra i miti e le icone del nostro tempo, un punto di riferimento, un must per ogni coscienza giovanile.
Ma, al di là dell’attenzione ai temi della solidarietà e dell’uguaglianza, c’è nel comunismo otto-novecentesco qualcosa di più. Il pensiero che il mondo può essere trasformato, radicalmente, in meglio. Ciò Marx lo espresse, tra l’altro, nella XI delle “Tesi su Feuerbach”, affermando: “i filosofi hanno soltanto interpretato il mondo, si tratta di cambiarlo”. Questo micidiale apoftegma campeggia anche sulla tomba di Marx a Londra.
Un caso emblematico
La casa-museo di Bertolt Brecht, a Berlino, si affaccia su un importante cimitero cittadino, in cui sono sepolti, tra gli altri, Fichte e Hegel. Non è un caso, naturalmente. Poiché se Brecht aveva uno dei suoi riferimenti principali in Marx, quest’ultimo a sua volta lo aveva in Hegel. E si può far risalire la discendenza fino a Schelling, Fichte e Kant.
Dunque, in quel crogiolo di menti straordinarie che fu l’idealismo tedesco, nacque quel metodo dialettico moderno che, in filosofia, è alla base anche del pensiero di Marx. E che nel comunismo sovietico divenne una beffa truculenta, nel vero senso della parola.
Ma, appunto, una cosa sono le cattive e pessime prove della propaganda e dell’ideologia e un’altra un maestro del pensiero e della parola come Brecht. Ammirato e stimato da grandi menti del Novecento come Walter Benjamin e Hannah Arendt, Brecht fu il rivale, perfetto e speculare, di Thomas Mann.
Tanto Brecht era anti-retorico fino al midollo, poiché la retorica rappresentava uno dei cavalli di battaglia del pensiero borghese, tanto l’altro era un cultore di Goethe. Tanto Brecht era comunista, quanto Mann era democratico e liberale. Ma, in fondo, seguivano diverse discendenze del pensiero tedesco. Li univa l’antifascismo, su cui, entrambi, da tedeschi, non ebbero esitazioni di nessun genere.
Il pensiero della Storia
In un passo importante della “Lettera sull’umanismo”, Heidegger riconobbe al marxismo il merito di pensare la dimensione della Storia, con una pregnanza e una capacità superiori, rispetto ad altre scuole di pensiero. Proprio perché l’origine della riflessione di Marx sulla storia, che prese forma nell’opera scritta a quattro mani con Engels e intitolata “L’ideologia tedesca”, si richiamava alla scuola di Hegel.
Ma, se Hegel pensava la storia in termini idealistici, Marx ed Engels – rovesciando Hegel come un guanto – la pensavano in termini materialistici. Conferendo centralità alla dimensione economica.
Così, tra le cose che rimasero sul tavolo di lavoro di Brecht, quando egli morì nel 1956, c’è un abbozzo di romanzo dal titolo “Gli affari del signor Giulio Cesare” (trad. it. Einaudi). Ora, quando Brecht morì, il nazismo era caduto da poco più di un decennio. E, forse, Brecht era stregato dall’angelo della Storia, analogamente a Benjamin, che concluse il suo percorso intellettuale e filosofico con uno scritto intitolato alle tesi “Sul concetto di storia”.
Dall’interrogativo relativo a quale fosse il significato del passaggio di un Cesare a Berlino. Poiché questo Hitler aveva cercato di essere: Cesare a Berlino. Un Cesare totalitario, che aveva immolato la sua anima e quella della Germania alla Morte e al culto del Male. Un Anti-Cesare, dunque – così come l’Anti-Cristo è stato, nel pensiero cristiano, il rovesciamento, perfetto e speculare, della figura di Cristo.
Così, nel 1938, mentre la Germania ferve nel preparare quella guerra che avrebbe dovuto assicurarle il dominio sul mondo, Brecht comincia a volgere i suoi pensieri alla pagina più significativa della storia romana. (Dobbiamo a Luciano Canfora e al suo libro intitolato “Giulio Cesare, Il dittatore democratico”, pubblicato per Laterza nel 1999, il poter collocare nel 1938, l’inizio del lavoro di Brecht al romanzo. Canfora ha utilizzato l’importante “Diario di lavoro” dello scrittore, pubblicato anche in italiano da Einaudi).
Il taglio che Brecht conferisce all’incredibile ascesa di Cesare è materialistico. I fatti della politica e delle campagne di conquista, a volte grandi e luminosi, sono sotto-ordinati alle speculazioni finanziarie, ai prestiti, agli interessi. Non molto diversamente da oggi. Ne risulta un torso, un frammento narrativo di poco meno di duecento pagine, in cui è possibile osservare un maestro al lavoro.
Una grande mente di fronte al grande interrogativo della Storia, quale oggi non ce ne sono più. Del resto, è stata la grande scuola del Novecento ad insegnarci che, alle volte, le cose migliori si nascondono nei frammenti…