Biden nei guai: ecco le prove della corruzione e delle menzogne
Tangente da 10 milioni da un’azienda ucraina a Sleepy Joe e al figlio Hunter, incastrati pure dalla testimonianza dell’ex socio dell’erede: cui viene negato anche il patteggiamento-farsa
E ora la famiglia Biden è davvero nei guai, e al gran completo. Obtorto collo, infatti, il Federal Bureau of Investigation ha dovuto rendere pubblico il report sulla corruzione internazionale di Sleepy Joe e dello scapestrato figlio Hunter. Per cui tutti i nodi giudiziari, malgrado le indebite interferenze del Dipartimento di Giustizia, stanno ora venendo al pettine.
Nessun patteggiamento-farsa per Hunter Biden
Nel silenzio assordante del cosiddetto quarto potere, Hunter Biden è da tempo incriminato per reati fiscali e falsa dichiarazione per ottenere un’arma da fuoco. Addebiti per cui il Department of Justice (il Ministero della Giustizia dell’amministrazione paterna), alla faccia dell’enorme conflitto di interessi, aveva confezionato un autentico patteggiamento-farsa ad usum delphini. Prevedendo la libertà vigilata per il primo capo d’imputazione e una misura alternativa per il secondo.
Contestualmente, al first son sarebbe stata garantita l’immunità da ogni eventuale nuova accusa che fosse emersa in futuro da indagini ancora in corso. Incluse potenziali violazioni del Foreign Agents Registration Act, la legge sulla registrazione degli agenti stranieri.
E questo non è affatto un dettaglio trascurabile perché, come ricorda Fox News, il DOJ sta investigando su Biden jr. proprio per questo motivo. E non a caso, visto che la supposta evasione riguarda compensi percepiti da soggetti esteri, tra cui CEFC China Energy. Una compagnia ora fallita, ma che in vita era stata legata all’intelligence militare di Pechino.
«Come dare una multa per eccesso di velocità all’autista in fuga dopo una rapina in banca» ha osservato un professore di diritto della George Washington University. Deve averla pensata allo stesso modo il giudice federale del Delaware Maryellen Noreika che, come riferisce la NBC, ha fatto saltare l’accordo. E questo è solo il minore dei guai per la famiglia Biden.
I Biden nei guai
La principale mazzata – e la prima in ordine cronologico – è coincisa con la fine di un insabbiamento triennale che ha avuto per protagonista l’FBI. Che fin dal giugno 2020, in piena campagna elettorale per le Presidenziali americane, era in possesso di quello che tecnicamente si chiama “modulo FD-1023”. Un documento non classificato che da mesi l’House Committee on Oversight and Reform (il principale comitato investigativo della Camera d’Oltreoceano) esigeva dal Bureau. Che ora, dopo settimane di resistenza, finalmente ha dovuto cedere.
Il file riporta la deposizione di un informatore ritenuto «altamente credibile», che descriveva nei minimi particolari uno schema corruttivo basato su «soldi in cambio di decisioni politiche». En passant, buona parte del contenuto, come ha appreso The Federalist, è già stato corroborato da solide evidenze.
I fatti risalgono al periodo in cui Joe Biden era vicepresidente di Barack Obama, e il suo secondogenito sedeva nel Cda della compagnia energetica ucraina Burisma Holdings. I cui vertici erano sotto inchiesta per corruzione da parte dell’allora Procuratore Generale di Kiev Viktor Shokin. Si era a fine 2015, e il leader democratico minacciò di bloccare un miliardo di dollari in aiuti economici, riuscendo così a far licenziare il magistrato. Cosa di cui, peraltro, la “gaffe machine” si vantò in un famoso video del 2018.
Piange il telefono
L’FD-1023, però, va oltre, certificando come il Nostro e il suo rampollo ricevettero 5 milioni di dollari ciascuno dal fondatore di Burisma Mykola Zlochevsky. Il quale ha rivelato al whisteblower di «essere stato costretto» a pagare i Biden per essere protetto «da qualsiasi tipo di problema». E di aver conservato come prova 17 messaggi e registrazioni di conversazioni, due delle quali con lo stesso Sleepy Joe. Che pure ha sempre negato di aver discusso coi figli e il fratello dei rispettivi business.
La circostanza, però, è stata confermata anche da Devon Archer, ex socio e migliore amico di Hunter Biden. Il quale ha dovuto rendere davanti all’Oversight Committee una testimonianza che, se possibile, aggrava ancor di più il quadro. Come infatti ha riassunto il Presidente del Comitato, James Comer, l’erede mise suo padre «in vivavoce durante incontri d’affari oltre venti volte».
Una di queste telefonate coinvolse Jonathan Li, CEO di BHR Partners, azienda sino-americana a cui Joe Biden ha recentemente venduto parte delle riserve strategiche di petrolio statunitense. E ci fu anche una cena d’affari con la miliardaria russa Elena Baturina, curiosamente esclusa dall’elenco degli oligarchi colpiti dalle sanzioni imposte causa guerra in Ucraina.
Difficile, dunque, scacciare il sospetto che papà Biden abbia orientato la politica estera ed energetica degli Usa in direzioni che rimpinguassero il portafogli “di famiglia”. Abbiamo visto procedure di impeachment avviate per molto meno.