Bye bye ddl Zan, il Senato ha scelto le libertà di pensiero ed espressione
Affossata, grazie alla “tagliola” a scrutinio segreto di Lega-FdI, la norma che avrebbe punito penalmente le opinioni: ora è possibile solo un nuovo testo, non prima di 6 mesi
Bye bye ddl Zan: il Senato ha votato un nuovo stop all’iter della normativa che sa tanto di pietra tombale sul provvedimento. Ora, infatti, sarà possibile solamente presentare un nuovo testo, che dovrà ripartire da capo, in Commissione, dove però non potrà approdare prima di sei mesi. L’istituzione dell’orwelliano Miniver e della polizia del pensiero (unico) dovranno ancora aspettare.
Bye bye ddl Zan
Alessandro Zan, deputato dem e primo firmatario del ddl contro l’omolesbobitransfobia, lo aveva detto a chiare lettere: «Se passa la tagliola, la legge è morta». Si riferiva alla richiesta, formulata da Lega e FdI, di non esaminare il testo articolo per articolo ed emendamento per emendamento. Una scure che Palazzo Madama ha approvato a scrutinio segreto, con 154 voti a favore, 131 contrari e 2 astenuti. Risultato che l’emiciclo ha accolto con un applauso.
D’altronde, come aveva dichiarato il senatore del Carroccio Roberto Calderoli, «meglio fermarsi qui che fare una porcata». Perché quella che veniva propagandata come norma di civiltà volta a contrastare le discriminazioni è in realtà una legge violentemente discriminatoria. Una misura, cioè, non solo inutile (visto che le tutele che intendeva aggiungere sono già in essere nel Codice penale), ma subdolamente pericolosa. A partire dal fatto che non definisce cosa si intenda per omolesbobitransfobia, aprendo così la strada anche ai reati di opinione.
I pericoli per la libertà insiti nel disegno di legge
Non a caso, le possibili derive erano state denunciate in lungo e in largo. Dalle femministe e da Arcilesbica, coscienti che grazie all’art.1 del provvedimento uomini che “si sentono donne” avrebbero accesso a spazi femminili – compresi bagni e spogliatoi. Da insigni giuristi, che hanno fatto presente come l’art. 4 attenti ai diritti costituzionali di pensiero, parola ed espressione. Dalle famiglie, allarmate a causa della colonizzazione gender delle scuole favorita dall’art. 7.
Nonché dal Vaticano, preoccupato che il ddl Zan violasse «l’accordo di revisione del Concordato», mettendo a rischio la libertà religiosa. La norma, infatti, permetterebbe di perseguire penalmente «chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma». Ma anche chi pensa che l’utero in affitto sia un’aberrazione.
Né vale l’obiezione che il testo non contempla questi eccessi, proprio per l’ampia discrezionalità concessa alla magistratura. Ce lo insegna, del resto, l’esperienza di Paesi con normative simili come la Spagna. Dove l’ormai defunto cardinale Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona, venne processato per aver citato gli insegnamenti della Chiesa cattolica in tema di omosessualità.
Per fortuna, però, la Camera Alta ha stornato la minaccia del bavaglio, confermandosi al contempo luogo della democrazia vagamente più appropriato di Twitter o Instagram. E dunque, bye bye ddl Zan. Alla fine, è stata tutta… questione di Fedez.