Calcio, ecco perché sul COVID-19 (anche) il Ministro dello Sport è nel pallone
Il grillino Spadafora vuole le partite in chiaro (che sarebbe demagogico) o lo stop alla serie A (che sarebbe controproducente): ignorando tutte le norme vigenti
Gli antichi Romani avevano un detto: panem et circenses, ovvero pane e spettacoli pubblici. La locuzione, risalente al poeta Giovenale, stava ad indicare le due modalità principali con cui chi deteneva il potere politico teneva sotto controllo le masse, i cui eventuali malumori venivano placati, appunto, tramite elargizioni di grano e l’organizzazione di giochi come quelli gladiatorii.
Ecco, forse il Ministro pentastellato dello Sport Vincenzo Spadafora, da cui dipendono gli attuali circenses, dovrebbe ripassare un po’ di storia e insieme un po’ di latino – sempre ammesso che li abbia mai studiati: se lo facesse, si renderebbe subito conto che la sua pensata di sospendere il campionato di calcio (almeno fino al 3 aprile, verosimilmente) in un momento in cui, grazie al cielo, non c’è (ancora) stato nessun caso di coronavirus è la cosa peggiore che il Governo potrebbe fare – anche se è condivisa, tra gli altri, dal numero uno del Coni Giovanni Malagò.
L’ultimo Dpcm, infatti, ha praticamente bloccato l’Italia intera, con intere aree in cui sono state fortemente limitate le libertà personali: per un buon motivo, certo, ma se «la distrazione è la via per allontanare la paura», come ha spiegato lo psichiatra Raffaele Morelli, lo stop alla serie A potrebbe addirittura essere controproducente.
Da sempre, infatti, lo sport (inteso in senso lato) svolge una funzione catartica in grado di sublimare alcuni tra i peggiori istinti: e dal momento che già si sono fermati i cosiddetti sport minori (dal basket al rugby, dal ciclismo alla pallavolo – almeno parzialmente); e che questi sono giorni di estrema tensione sociale, contrassegnati anche da impulsi anarcoidi (come l’allontanamento dalle zone rosse, che oltre a mettere a repentaglio la salute pubblica è un reato penale) e da rivolte in varie carceri, forse il Ministro grillino farebbe bene a chiedersi se ne vale davvero la pena.
Magari evitando di dire tutto e il contrario di tutto, come ha fatto nelle ultime ore in cui ha alternato questa cupio dissolvi calcistica alla richiesta di trasmettere le partite in chiaro (e delle due l’una: la botte piena e la moglie ubriaca non la può avere neanche un membro dell’esecutivo). Salvo poi accusare (a vanvera) Sky di aver preferito il «dio denaro», provocando la durissima replica dell’emittente fondata da Rupert Murdoch che gli ha ricordato come, nonostante l’azienda avesse «dato la piena disponibilità ad aprire la visione sui propri canali in chiaro (TV8 e Cielo) di tutte le partite di cui Sky detiene i diritti a pagamento», vi sono delle norme che non sono superabili se non mediante un intervento del legislatore – cioè, dello stesso Spadafora.
Il Ministro dello Sport aveva chiamato in causa anche la Lega Serie A, la cui decisione di far giocare ugualmente i match in programma domenica 8 marzo aveva bollato come un «gesto irresponsabile», suscitando la reazione piccata del presidente Paolo Dal Pino: secondo cui Spadafora, ironicamente apostrofato come illustre ministro, «ignora le norme e rifiuta la responsabilità del suo ruolo».
In ogni caso, con la paventata interruzione rimarrebbero anche le difficoltà a livello puramente sportivo – che ovviamente sarebbero comunque in secondo piano rispetto alle esigenze di tutela della salute: diventerebbe infatti impossibile disputare l’ultima giornata il 24 maggio, e oltretutto ci sono ancora cinque italiane impegnate nelle Coppe europee.
La Figc avrebbe quindi di fronte tre possibili scenari: chiedere alla UEFA lo slittamento degli Europei 2020, che dovrebbero iniziare il 12 giugno, ma per cui i calciatori dovrebbero essere a disposizione delle rispettive Nazionali già dal 1° giugno; studiare un calendario alternativo che già adesso sembra pura utopia, considerato che vanno ancora recuperate quattro gare, più le semifinali e la finale di Coppa Italia; oppure chiudere qui la stagione.
Quest’ultima prospettiva innescherebbe però una reazione a catena, dovuta anche al fatto che lo statuto della Federcalcio non contempla tale ipotesi, per cui c’è un solo precedente, risalente al 1915: quando il campionato (che non era ancora a girone unico, ma separato tra Italia settentrionale e Italia centro-meridionale) venne troncato dall’ingresso del Belpaese nella Prima Guerra Mondiale prima della finalissima tra il Genoa e la Lazio, con il titolo che venne poi attribuito ai liguri per via della tradizionale superiorità delle squadre del nord.
L’assegnazione dello scudetto sarebbe proprio il primo dei problemi, tanto che il Consiglio federale potrebbe anche scegliere di non designare alcun Campione d’Italia – come del resto è accaduto nel 2005 causa Calciopoli: e di indicare solamente i piazzamenti che varrebbero la qualificazione alle prossime Champions League ed Europa League, col rischio però di dare il via a una pioggia di ricorsi, a partire da quello già minacciato dalla stessa Lazio.
Probabilmente si dovrebbe valutare anche il blocco delle retrocessioni, col rischio di vanificare la stupenda cavalcata del Benevento di Pippo Inzaghi (che in serie B ha venti punti di vantaggio sulla seconda) o di dover aumentare i club che nella stagione 2020-2021 giocheranno in una massima serie che già ora è sufficientemente ingolfata.
Certo, non va dimenticato che si sta affrontando una situazione del tutto straordinaria come quella determinata dalla pandemia del COVID-19, ma la sgradevole sensazione è che molti, nel Governo Conte, navighino a vista, seguendo il primo pensiero del risveglio, senza una minima programmazione o lungimiranza. E forse, in un momento così complicato, l’Italia meriterebbe di più di un Ministro dello Sport che si distingue solo per essere, autoreferenzialmente, nel pallone.