Canonizzazione, non ci resta che piangere
Un solo bel ricordo della giornata di ieri: un gruppo di preti, con i loro ragazzi, che intonavano canti di gioia
Sono scesa dalla metro Ottaviano alle 7.30. Volevo essere puntuale e non perdermi quello che, per una giornalista in erba come me, è stato senz’altro un evento irripetibile.
Scendo dalla metro, e ad accogliermi trovo subito i venditori ambulanti, con qualche bandierina, qualche immagine, qualche foto – si iniziava con un prezzo tra i 3 e i 5 euro, mentre a fine giornata c’erano i saldi, tutto a un euro! E tutto, sotto l’occhio vigile delle Forze dell’Ordine. Mi è parso di vedere, delle volte, sguardi severi di alcuni poliziotti, che intimavano agli ambulanti di allontanarsi; e capisco anche che ieri, in una circostanza come quella, mettersi a controllare tutti loro sarebbe stato davvero impossibile. Ma insomma: un modo per arginare il problema lo si poteva trovare.
Eppure, nei giorni che hanno preceduto la canonizzazione, sono state diverse le notizie di sequestri di merce contraffatta, tanto che è stato anche diffuso un vademecum del pellegrino che raccomandava – ad esempio – di non comprare acqua, perché la Protezione Civile aveva messo a disposizione oltre 4milioni e mezzo di bottigliette d’acqua; in alternativa, si consigliava di bere dalle fontanelle, i ‘nasoni’ di Roma. E invece, tra un tè freddo alla pesca e un’acqua naturale, anche stavolta i commercianti abusivi si sono arricchiti. Che si sia trattato delle solite misure spot per non farsi parlare dietro?
Passato il corridoio che dalla metro conduce a piazza Risorgimento, provo ad addentrarmi verso San Pietro. Non mi aspettavo di trovare un posto libero a sedere, ma nemmeno di ritrovarmi ad essere io una pellegrina. Tutti gli accessi erano chiusi, per trovare un punto comodo ho dovuto attraversare a piedi tutta Roma. E alla fine, quando l’ho trovato, ho cercato invano di osservare qualcosa dai maxi-schermi. Inutile, erano poco più grandi del pc dal quale sto scrivendo.
Intorno a me, rifiuti ovunque – seppure l’Ama abbia messo in piedi una task-force degna di nota – pellegrini a terra nei sacchi a pelo, gente buttata ad ogni angolo della strada, alcuni feriti in attesa di cure dal personale della Croce Rossa, gente che dormiva a terra, sui ponti, e che della cerimonia di santificazione ha visto poco e niente. Bisognava stare attenti a dove si mettevano i piedi, perché tra una bottiglietta d’acqua aperta lanciata a terra e ancora piena, e un giornale buttato, si rischiava di cadere ogni due passi. Eppure, c’erano sacchi dell’immondizia appesi ad ogni albero, cassonetti appositi posizionati ad ogni angolo. Evidentemente, anche i turisti hanno preferito sporcare la nostra città, anziché rendere omaggio alla Capitale che li ha ospitati. Strano a dirsi, visto che solitamente chi vuole denigrare il nostro Bel Paese riporta sempre questa frase: “Negli altri Paesi non si trovano nemmeno i mozziconi di sigaretta a terra”. Le cose sono due: o chi parla non viaggia, oppure i turisti dimenticano il rispetto non appena varcano i confini di casa propria.
Al termine della Messa, e dopo il passaggio di Papa Francesco, riesco ad intrufolarmi su via della Conciliazione. Ancora una volta, lo spettacolo è a dir poco inquietante. Passi per qualche volantino che nella fretta di andare via può cadere – anche se tra tutte le carte lasciate a terra, più che di fretta, mi pare si sia trattato di una precisa volontà – passi per una bottiglietta d’acqua che può cadere, ma a terra c’erano sedie, coperte, guanti, cappelli, magliette. Solo dimenticanza?
Finito il mio giro nei pressi di piazza San Pietro, decido di tornare verso piazza Risorgimento e di andare a mangiare qualcosa. Passo vicino ai bagni pubblici, costretta a tapparmi il naso a causa dell’odore che definire cattivo è un eufemismo. Tornando verso la metropolitana, sento dire da qualcuno che il servizio era ancora chiuso. Ma come chiuso? Come vuoi smaltire un milione di persone lasciando la metro chiusa? Se sia vero o no, io questo non lo so. Quando mi sono diretta verso la metropolitana il servizio era attivo. Ma riuscire a tornare a casa è stata un’impresa epica. Fossi nata altrove e in un’altra epoca, ora, a scuola, leggerebbero delle mie imprese e non di quelle di Ulisse. Stipata nei vagoni come nemmeno un carro bestiame, con i turisti che ad ogni fermata premevano per entrare, nonostante i vagoni fossero pieni. E, ancora una volta, mentre via via assomigliavo sempre più a una sottiletta, mi tornavano in mente le frasi degli estimatori dei confini d’oltralpe: “Ma lo sai che negli altri Paesi sulle scale mobili devi mantenere la destra per forza?”. Non so se nel viaggio verso Roma i turisti abbiano dimenticato le regole base del quieto vivere, ma anche nella metropolitana regnava solo disordine e caos.
Non so se la colpa sia imputabile all’inefficiente macchina capitolina che si è fatta trovare impreparata per un’occasione simile. In parte forse sì – ad esempio, se i maxi-schermi si chiamano ‘maxi’ un motivo c’è; in parte, credo sia colpa di chi non ha rispetto per una città straniera.
Quella di ieri, per chi non ha avuto la fortuna di avere un posto a sedere in piazza San Pietro, non è stata una bella giornata. Della cerimonia di canonizzazione non mi resta quasi nulla, perché nulla ho potuto vedere. L’unica nota positiva? Un gruppo di preti, con i loro ragazzi, che nel caos più totale intonava, su via della Conciliazione, dei canti di gioia – il video in allegato all’articolo.