Capelli e capelloni dagli anni ’70 a oggi
“Dottò, che dice, la facciamo la frizione?”, una frase che era attesa dagli appassionati. I capelli con la frizione brillavano
I capelli mi hanno sempre affascinato, sin da piccolo. Ho portato i capelli lunghi, e quando dico lunghi intendo fino alla cinta dei pantaloni, dall’età di vent’anni fino alla quarantina. All’epoca ero un cantante rock abbastanza conosciuto a Roma e apprezzato per le mie doti canore ma anche per il mio aspetto. Tant’è che per alcuni anni, tra la fine degli 80 e i primi 90, quando si voleva indicare un gruppo musicale rock di bell’aspetto o che suonava bella musica, si diceva “un gruppo di Marcelli”.
“Capelloni”, un termine diffusissimo negli anni ’60 e ’70
Negli anni 60, quelli che venivano chiamati “capelloni“ erano degli skinheads rispetto ai figli dei fiori e ai rocchettari degli anni ’70 e ’80 in quanto a lunghezza delle chiome. I parrucchieri acconciavano indistintamente i capelli di ragazzi e di ragazze, producendosi nei medesimi tagli, stessi colpi di sole e stesse permanenti per entrambe i sessi. Era l’epoca dei figli dei fiori prima, e poi degli Europe, gruppo rock reso celebre dal brano “The Final Countdown“.
Quando ero piccolo, mia nonna mi portava con sé da Sandro il “coiffeur“. Così recitava l’insegna sopra al negozio, perché il termine “parrucchiere”, in quegli anni ’70, suonava più chic in francese.
Da Sandro ci si recavano solamente le donne, mentre per gli uomini c’era il barbiere, termine molto più maschio e luogo decisamente più virile, regno incontrastato del dopobarba per ”l’uomo che non deve chiedere mai”, così almeno recitava la pubblicità di un noto after shave dell’epoca.
Le donne entravano alle 10 del mattino e uscivano non prima delle 13 oppure arrivavano verso le 15 per uscirne solo quando era ora di preparare la cena.
Una vera e propria maratona tricologica
In quegli anni, per asciugare i capelli avvolti attorno ai bigodini e per rendere quasi eterna l’acconciatura, i coiffeur usavano i famosi caschi che somigliavano più, data la dimensione e la forma, a dei gusci di salvataggio di un astronave, più che a strumenti per asciugare le chiome.
Era bene che le clienti che avessero qualcosa da dire parlassero prima di essere rinchiuse in quella specie di capsula di plastica trasparente, perché da quel momento in poi non le avrebbe potute udire nessuno fino alla “riesumazione” dal rumoroso e claustrofobico strumento. Quello che a me sembrava un calvario durava per ore e quando finalmente il casco veniva sollevato, le clienti che ne uscivano avevano tutte i medesimi capelli e assomigliano, nelle acconciature, a Iva Zanicchi.
Così almeno apparivano ai miei occhi di bambino.
La messa in piega, il brushing
Sempre in quegli anni andava di moda il brushing alla Farrah Fawcett, una delle splendide protagoniste della serie Charlie’s Angels. Il brushing altri non era che una messa in piega che rendeva le acconciature voluminosissime, altissime, solide come la roccia grazie a quantità tali di lacca per capelli da aprire il famoso buco nell’ozono.
Le signore usavano recarsi dal coiffeur anche prima di andare in piscina o al mare cosicché si assisteva a delle scene stranissime in cui queste donne, dai capelli perfetti, antesignane di Ursula von der Leyen, nuotavano facendo molta attenzione a tenere il collo e la testa ben fuori dall’acqua per non rovinare l’acconciatura al punto da sembrare tanti mostri di Loch Ness, destreggiandosi tra i flutti come ittiosauri dai colli lunghissimi.
Per gli uomini era tutto più semplice
Per gli uomini era tutto più semplice. Si andava dal barbiere dove gli adulti si sedevano sulla poltrona e i bambini sul famoso cavallo. A differenza delle numerose ed eccentriche acconciature destinate al gentil sesso, per i virili clienti c’erano solo due tipi di proposte: capelli cortissimi (per i militari e soprattutto in età scolare per privare i pidocchi di un sicuro rifugio) o capelli normali, in base alla moda del momento. Gli uomini della mia famiglia (nonno, papà, cugino ed il sottoscritto), si affidavano alle sapienti mani di Sergio il barbiere il quale, dopo aver sforbiciato, pettinato e spazzolato via i resti del lavoro tricologico dalle spalle del cliente, rivolgeva la famosa domanda:
“Dottò, che dice, la facciamo la frizione?”
La risposta era quasi sempre affermativa anche se nessuno seppe mai in cosa consistesse quella frizione e di cosa fosse composto il liquido che veniva appunto utilizzato per massaggiare il cuoio capelluto. Ma si diceva che avesse effetti prodigiosi sulla salute delle chiome.
Il riporto dei capelli
In quegli anni era alla moda anche il famoso riporto. Gli uomini che avevano la parte alta della testa completamente pelata, si lasciavano cresce i capelli così da “riportarli“ appunto da un orecchio all’altro sulla sommità della testa calva a mo’ di copertina. Il problema era che bastava anche una leggera brezza marina per far sventolare come bandiera quella sorta di parrucchino naturale.
Un tempo, il coiffeur ed il barbiere erano soprattutto un luogo di ritrovo, un’opportunità di incontro in cui le persone parlavano fra loro, si confidavano, si lasciavano andare a pettegolezzi o discutevano animatamente di calcio. Era un momento di condivisione sociale.
Oggi si va dall’estetista, dall’ hair styler, dal visagista, ognuno isolato ed intrappolato nel proprio telefonino, quasi inconsapevole di trovarsi fra altri esseri umani.