Carlo Levi: l’equilibrio tra arte, politica e mito
“Cristo si è fermato ad Eboli”, è un’espressione, quanto mai significativa, degli stessi contadini della Lucania
Nella letteratura italiana del Novecento, i libri e gli scrittori di prima grandezza sono molti, per non dire moltissimi. A partire da esempi abbaglianti, come Pirandello e Svevo nel teatro e nella narrativa, Benedetto Croce nella filosofia e nella storiografia, Eugenio Montale nella lirica.
Fino ad autori come Carlo Emilio Gadda, Primo Levi, Italo Calvino, Leonardo Sciascia, che hanno dato alla prosa in lingua italiana, lustro di autentica grandezza.
Genesi di un classico
In questo contesto non deve essere dimenticato e ignorato un autore come Carlo Levi, le cui peculiarità espressive sono sempre state equamente divise tra letteratura e pittura. Torinese di origine, con una sensibilità politica rara, si impose all’attenzione nazionale, ma non solo, attraverso il celebre “Cristo si è fermato a Eboli”, pubblicato da Einaudi nel 1945.
Resoconto di un anno di confino in Lucania, comminato a Levi dal regime fascista tra il 1935 e il 1936, composto a Firenze tra il 1943 e il ’44, esso è molto di più che non una semplice denuncia delle condizioni di disagio, economico e sociale, del Meridione d’Italia.
Poiché a Levi premeva, innanzitutto, l’arte, il libro è un racconto totale di un determinato momento della sua vita individuale che si incontra con una specifica situazione generale.
Libri paralleli
Analogo discorso può essere fatto per “L’Orologio”, libro meno universalmente conosciuto, uscito nel 1950. Esso si sofferma sul secondo dopoguerra, sulla Roma del governo Parri, sul senso di delusione intervenuto con il tradimento della Resistenza (tema che, negli anni ’70, assumerà coloriture funeste). Nonché sullo smarrimento identitario dello scrittore, simboleggiato dalle vicende del suo orologio.
Qui si intrecciano il piano personale, quello storico-politico e il senso metafisico che Levi aveva per tutte le cose della realtà. A partire da quella frase straordinaria che troviamo all’inizio e alla conclusione dell’opera: “La notte, a Roma, par di sentire ruggire leoni”. Il risultato non è meno interessante, seppure forse meno dirompente, quanto ad efficacia, rispetto al capolavoro principale.
La terra del mito
Poiché è chiaro che buona parte della forza del libro risiede nella scelta del titolo e della metafora centrale che lo sostiene. ‘Cristo si è fermato ad Eboli’ è un’espressione, quanto mai significativa, degli stessi contadini della Lucania. Cristo simboleggia la storia, il progresso, la civiltà. Ed esse si sono fermate ad Eboli, subito sotto Salerno.
Nemmeno i Greci e i Romani arrivarono mai, in Lucania, a portare la luce classica della loro potenza civilizzatrice. In Lucania ha regnato, per tremila anni, il mito, nel suo aspetto ctonio, oscuro. Con le sue credenze, il suo potere magico, la sua fissa immobilità. Una storia di sofferenza e di fatica, non trasformabile e non redimibile.
Di qui la rassegnazione dei contadini, il culto dei briganti, la malaria. Su questi scogli si sono infranti l’ottimismo illuministico, quello liberale e quello marxista, che con troppa semplicistica fretta avrebbero voluto arrivare a risolvere la questione.
Levi entrò in simpatetica comunicazione con quel mondo, con la lentezza e l’apertura mentale che gli derivavano dalla sua intelligenza. Se c’è una caratteristica che, dai suoi libri e dai suoi quadri, si avverte come quella più sua, è proprio la capacità di mantenere la mente aperta al mondo, nonostante il dolore e nonostante le tragedie.
Una grande scuola
Capacità di apertura, resistenza – politica, morale, culturale – al fascismo, senso della realtà, sguardo critico che si faceva letteratura e pensiero, erano del resto le caratteristiche di altri intellettuali e scrittori legati, come Carlo Levi, alla Resistenza.
Cesare Pavese, Elio Vittorini, Natalia e Leone Ginzburg, Massimo Mila, Giulio Einaudi, Guido Calogero, Federico Chabod, Giaime Pintor, Norberto Bobbio, Italo Calvino, Vittorio Foa, Altiero Spinelli.
Essi, tutti insieme, contribuirono a fare e formare l’Italia repubblicana ed è per questo che leggere i loro libri costituisce, ancora oggi, una grande lezione.