Case pignorate: il dramma di tantissime famiglie. Questa sì che è emergenza
Poco meno di 250mila abitazioni che finiscono all’asta perché gli acquirenti non ce la fanno più a pagare il mutuo. E che poi vengono vendute a prezzi di gran lunga inferiori al loro valore effettivo
È l’ennesima inchiesta, meritoria, di Milena Gabanelli. Uno studio sintetico, ma approfondito, su ciò che accade quando non si riescono più a saldare le rate dei mutui immobiliari della propria abitazione e lo stato di insolvenza arriva al punto di non ritorno. Quello che vanifica tutti gli sforzi fatti in precedenza. Quello che rende inutili, e quasi sbeffeggia, i sacrifici affrontati per rimanere al passo con gli impegni presi, fintanto che è stato possibile. Mese dopo mese. Non di rado per anni e anni.
Detto in estrema sintesi: si perde la casa, si perdono i soldi già versati. I soldi dell’importo iniziale che si era dato come acconto. I soldi degli interessi che si sono corrisposti via via. I soldi a parziale rimborso del capitale anticipato dalla società che aveva finanziato l’acquisto.
Ma ancora non basta. Oltre a queste due conseguenze, già pesantissime di per sé, ci si ritrova spesso a restare comunque in debito con la banca o la finanziaria che aveva concesso il prestito.
Una gabbia paradossale, e amarissima, e sommamente iniqua, in cui si viene rinchiusi senza scampo, a causa del modo capzioso e per nulla casuale in cui viene gestita la vendita all’asta dell’immobile pignorato. Un intreccio perverso di norme e di situazioni di fatto su cui si concentra appunto lo studio effettuato dall’ex conduttrice di Report, nel suo Dataroom per il sito online del Corriere della Sera.
Raccomandando di leggere il testo nella sua versione completa, citiamo pari pari il nucleo fondamentale.
Pignoramenti: il danno e la beffa
“L’esito [della procedura di vendita] lo sintetizzano con identità di giudizio sia la Astasy che Favor Debitoris: «Ormai assistiamo a uno sconto medio del 55% rispetto al valore di acquisto sul libero mercato. Significa che su 100 mila euro il debitore porta a casa solo 45mila euro, a cui va tolto mediamente un altro 33% fra compensi agli intermediari e spese di giustizia. Alla fine resta una cifra quasi sempre inferiore alla quota capitale rimasta pendente».
Mirko Frigerio di Astasy calcola che l’ex proprietario, oltre a perdere l’immobile, «resti ancora con un debito residuo mediamente intorno ai 30mila euro». A quel punto scatta il rischio del pignoramento del conto corrente e di altre proprietà aggredibili, soprattutto se ereditate (auto, moto) da genitori ex garanti nel frattempo defunti.
Inoltre il debitore verrà segnalato alla centrale rischi ed etichettato come cattivo pagatore, quindi nessun istituto gli farà più un prestito. Però il debito resta vita natural durante, perché la prescrizione si completerebbe dopo 10 anni, come prescrive il codice di procedura civile, ma la banca difficilmente abbandona la partita, come rileva Giovanni Pastore, tra i fondatori dell’associazione Favor Debitoris: «Il debitore è come il maiale per i contadini, non si butta via niente, e quel debito residuo viene a sua volta venduto, con una valutazione di circa l’1% del valore nominale, alle società di recupero credito, specializzate nello spolpare le ossa».
Ovvero le ossa di persone abbandonate al credito gestito dalla criminalità «che si fanno banca erogando credito a tasso concorrenziale con quello bancario», spiega l’ex procuratore nazionale antimafia Roberti. In altre parole: finiscono nelle mani dei ‘cravattari’.”
Domandina aggiuntiva: indovinate un po’ chi se le aggiudica, per lo più, queste case vendute parecchio al di sotto del prezzo di mercato, per poi rivenderle a cifre di nuovo in linea con i valori correnti?
Esatto: società di ogni sorta, che magari hanno sede all’estero e che dispongono di capitali di imperscrutabile provenienza. Come sottolinea Gabanelli, “ad oggi le esecuzioni immobiliari non hanno il controllo del denaro circolante e non avviene nessuna verifica antiriciclaggio”.
A noi persone qualsiasi si pretende di imporre la moneta elettronica per ogni minimo acquisto. Ai pescecani della speculazione internazionale si lascia campo libero, affinché imperversino senza alcun impaccio.
Case. Non beni voluttuari
Bisogna dirlo con estrema chiarezza: ciò che va ripensato non è solo l’iter di cessione “al miglior offerente”. Questo è indubbiamente un intervento urgente e sacrosanto, ma non esaurisce affatto i compiti di chi voglia andare al cuore del problema. E formularlo, finalmente, nei suoi giusti termini.
La chiave di volta, infatti, è che la casa di abitazione non è per nulla un bene voluttuario, ma la necessità inderogabile di ogni cittadino e, a maggior ragione, di ogni nucleo familiare. Una necessità talmente primaria e così importante, per le sue ricadute sulla vita concreta delle persone, che non se ne può lasciare la gestione in balìa delle dinamiche affaristiche del cosiddetto libero mercato. I cui operatori, invece, non ci vedono nient’altro che un’occasione di profitto da sfruttare con ogni mezzo. E, come abbiamo già ricordato, in ogni sua fase: dall’erogazione del mutuo fino alla liquidazione dell’immobile pignorato.
Esattamente al contrario, questa esigenza cruciale e delicatissima va considerata alla stregua di un diritto naturale, al pari del lavoro e di una retribuzione che sia quantomeno decente (vedi l’altisonante, ma ignorato, articolo 36 della Costituzione in cui si afferma che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”).
Impossibile? Nemmeno un po’. Una volta che ci si sia chiariti sulla premessa, il resto viene da sé. È logistica. È, per scendere nello specifico, un piano permanente di edilizia pubblica in cui la cessione degli appartamenti avvenga “a riscatto”: canoni di locazione che vanno a coprire il solo costo di fabbricazione e che, al termine del tempo necessario, comportano l’acquisto da parte di chi vi abita.
Eliminata qualsiasi componente speculativa, i prezzi sarebbero ridimensionati il più possibile e il carico degli interessi graverebbe nella misura più esigua. E non bisogna certo farsi bloccare dai casi, pur frequenti, di malgoverno: la cattiva applicazione di un principio sano non ne diminuisce la validità, ma esige punizioni esemplari a carico di chi lo violi. Tanto più se in ambiti di estremo rilievo come le abitazioni non di lusso o la sanità.
Un approccio rivoluzionario, certo. Una grande conquista di civiltà su cui l’intera Unione Europea sarebbe costretta a esprimersi. Uscendo allo scoperto e chiarendo a suon di atti ufficiali se l’obiettivo irrinunciabile delle nostre società democratiche è il profitto di pochi o il benessere di tutti gli altri.
A chi si è lasciato stordire dalla propaganda liberista può sembrare un miraggio da inguaribili utopisti. Ma non lo è.
Semmai, è il risveglio dal sogno/incubo del mercato che in teoria si autoregola. Il mercato-giungla in cui vale solo la legge del più forte. Ossia il più ricco, il più cinico, il più spietato.