Caso Gregoretti. Pura follia, processare Matteo Salvini per sequestro di persona
Dopo il voto favorevole della Commissione, voluto dallo stesso leader della Lega, la palla passa all’aula di Palazzo Madama
Tiene duro, Salvini. E insiste nella sua linea di non opporsi all’autorizzazione a procedere contro di lui, che verrà esaminata oggi al Senato.
La sua posizione è nettissima: mi mandino a processo, per la vicenda della nave Gregoretti, e vediamo se davvero sarò condannato per sequestro di persona. Laddove, aggiungiamo noi e come è difficile negare anche ai suoi più acerrimi oppositori, le sue decisioni da ministro degli Interni avevano natura eminentemente politica e sono, perciò, quanto di più lontano si possa immaginare dal reato comune che gli viene addebitato.
Il nodo è proprio qui. È nella pretesa di estendere le norme del codice penale a delle decisioni che rientrano nella sfera governativa, e per di più ai massimi livelli. E prese, come se non bastasse, in condizioni di urgenza: quando non si può estrapolare la questione giuridica dallo svolgimento degli eventi concreti per rimetterla alla valutazione dei giuristi e poi attendere, con tutta calma, che arrivi la risposta in un senso o nell’altro. La risposta. Il salvacondotto.
Le norme penali, evidentemente, nascono ad altri scopi. Nascono per reprimere i crimini veri e propri, ossia quelli commessi da chi è ben conscio di violare la legge e di esercitare un qualche tipo di violenza, ma lo fa lo stesso per ottenere dei vantaggi personali. Esse, perciò, riguardano dei comportamenti totalmente diversi da quelli di un politico che è convinto di operare nell’interesse della comunità nazionale.
Lo sappiamo benissimo: il confine è tanto grande in linea di principio quanto sottile, e scivoloso, in sede di applicazione. Tuttavia esiste. Ed è sommamente vigliacco – intellettualmente vigliacco, e politicamente inaccettabile – liberarsi delle difficoltà teoriche e pratiche facendo finta che invece le differenze che abbiamo ricordato non sussistano affatto.
Anche ammettendo che gli atti di Salvini siano stati illegali, certamente non li si può assimilare a una condotta delinquenziale. Analoga, nel caso specifico, a quella di una banda di sequestratori che rapiscono qualcuno per ricavarne un riscatto. O per coartarne la volontà a scopi di sopraffazione, finalizzata a sua volta a un illecito profitto.
Questo, crediamo, è di immediata evidenza e lo capisce chiunque, se non è ottenebrato dall’odio. Che odio rimane anche quando è indirizzato contro chi viene accusato di essere lui, l’odioso odiatore.
Un corto circuito spaventoso
Salvini può avere avuto ragione o torto, nel bloccare la Gregoretti e impedire lo sbarco degli stranieri che erano a bordo dopo essere stati raccolti in mare. E che (mai dimenticarlo) avevano intrapreso la loro traversata mirando a entrare in Italia, o in qualche altra nazione europea, senza alcuna autorizzazione preventiva. Ossia, per dirla in maniera spiccia, in maniera illegale.
Di sicuro, però, il leader della Lega ha fatto quello che ha fatto perché riteneva di dover contrastare un fenomeno politico che non solo ai suoi occhi, ma anche a quelli di moltissimi italiani, appare grave e pericoloso. Il suo intento non era affatto quello di danneggiare i poveri migranti ma di salvaguardare gli interessi nazionali, contrapponendosi al sostanziale lassismo che è proseguito per anni e anni e che, infatti, ha portato a flussi migratori massicci e pressoché incontrollati.
Come se ne esce?
Arrivati a questo punto, e ribadito che in questo spaventoso groviglio non ci si sarebbe mai dovuti entrare, la cosa migliore sarebbe negare l’autorizzazione a procedere. Per poi intervenire, subito dopo, con un drastico cambiamento dell’intera materia. Che parta da una nitida distinzione tra atti politici e reati comuni, nel senso che abbiamo indicato, e che riduca i casi di illegalità come forse potrebbe essere questo alla categoria dell’abuso di potere. Riconoscendo, tuttavia, la buonafede di chi ha agito, al di là di ogni ragionevole dubbio, senza alcuno scopo di arricchimento personale.
Va detto con estrema chiarezza. Quello che si sta prospettando, e che rischia di concretizzarsi, è uno spaventoso corto circuito tra la funzione politica e quella giurisdizionale. E sia pure senza disconoscere la classica tripartizione dei poteri, non si dovrebbe mai scordare che la politica è materia troppo ampia e delicata, e a suo modo magmatica, per avvilupparla meccanicamente nelle reti del codice penale.
Vale per i ministri. Ma vale anche, attenzione, per le manifestazioni di piazza e le eventuali violenze dei dimostranti.
Bloccare gli immigrati illegali non è affatto assimilabile al sequestro di persona.
La rabbia popolare non coincide affatto con il vandalismo dei teppisti.