Cervelli in fuga dall’Italia. Come invertire la tendenza
Un milione di giovani espatriati tra il 2012 e il 2021. Un quarto di loro sono laureati. Una tendenza che impoverisce il Paese
Cervelli in fuga, il fenomeno si va allargando anno dopo anno e neanche l’immigrazione riesce a compensare l’esodo dei giovani dall’Italia. Prima di tutto perché non esiste una politica migratoria decente, che favorisca flussi programmati, destinati a inserire nel mondo del lavoro, personale immigrato qualificato, come succede in altri Paesi europei.
Cervelli in fuga e Reddito di cittadinanza
Sull’immigrazione non si è prodotto nulla e il fenomeno è stato gestito solo ideologicamente, per farne battaglie elettorali, con il risultato di incrementare vergognosamente il numero dei morti, tra quanti affrontano il mare, anche con mogli e figli, per sfuggire a guerre, fame e persecuzioni.
Qualcosa bisognerà fare, fin da subito, per consentire che l’ondata migratoria, che è inarrestabile, venga sottratta ai trafficanti di persone e gestita a livello europeo. Bisogna favorire chi ha diritto di venire in Europa, per trovare, tra queste persone, coloro che possono dare linfa vitale all’economia del nostro continente. Sarà tuttavia difficile tamponare il problema della fuga dei nostri giovani, spesso laureati. Comunque persone qualificate, che vengono meno nei comparti produttivi.
Per problemi di inserimento, burocrazia e lingua ovviamente spesso occorrono anni, affinché un immigrato possa sostituire uno di questi giovani e, al momento, non si sta facendo niente sia per la loro integrazione, come per lo stesso inserimento degli italiani nel mondo produttivo. Abbiamo visto come il Reddito di Cittadinanza sia una misura necessaria, ancorché da modificare per adattarla alle esigenze della nostra società.
Manca il lavoro e quando c’è è mal retribuito
La prima vera motivazione per la fuga degli italiani è la mancanza di opportunità di lavoro adeguate alle esigenze della vita moderna. Gli stipendi medi fuori dell’Italia, secondo l’Istat, sono di 1963 € netti, mentre le “occasioni di lavoro” in Italia, da questo punto di vista, sono indecenti. Si cerca lavoranti ma non li si può pagare in maniera adeguata. Responsabile, per me, non è tanto il datore di lavoro, sia esso un piccolo imprenditore o un artigiano, il responsabile di una piccola attività commerciale, un barista, uno chef, un sarto… Il responsabile è l’imposizione fiscale esosa che rende impossibile sostenere una impresa commerciale per guadagnare e vivere decentemente.
Non molti anni fa era possibile mettere da parte fondi per affrontare con tranquillità gli imprevisti della vita o pensare di investire in una casa o in un allargamento della propria attività, il denaro guadagnato. Oggi un piccolo imprenditore riesce a mala pena a coprire le spese con le entrate di un anno. Alla fine non gli resta quasi nulla. Fisco, bollette e spese correnti gli sottraggono l’utile faticosamente guadagnato. Logico che si sia indotti ad andare via.
All’estero le regole sono più serie, il merito conta
I giovani, da anni, viaggiano più spesso di una volta. Queste esperienze, low cost, consentono loro di rendersi conto presto di come si vive fuori dei nostri confini, del livello dei servizi, delle opportunità che i mercati stranieri offrono e della diversa mentalità con cui si ha a che fare, sia nel mondo del lavoro che della vita quotidiana. È più facile essere accettati, c’è una apertura di fondo verso l’altro, c’è più rispetto per chi lavora, anche in posizioni umili. Se si conosce la lingua, e questo ormai non rappresenta più un ostacolo, come lo fu per i nostri migranti del secolo scorso e di quello precedente, integrarsi è facile.
Si valuta le qualità della persona e non solo l’aspetto o la famiglia da cui proviene. Esiste una sorta di “raccomandazione” ma è più una referenza formale, da abbinare al curriculum, quasi un certificato di buona condotta, redatto dal vecchio datore di lavoro a vantaggio dell’impiegato.
Esistono culture, come quella canadese e americana, dove spesso nei curricula non si deve citare l’età e mettere la foto del candidato. Perché chi ti seleziona non lo deve fare in base all’età o all’aspetto fisico. Grande esempio di democrazia reale. Che ci vorrebbe ad applicare queste piccole riforme in Italia?
Cervelli in fuga anche prima della laurea
Vivendo all’estero mi capita spesso di incontrare Italiani che hanno deciso di tentare la sorte fuori dai nostri confini. Talvolta sono persone che se ne sono andate a 18-20 anni o dopo la laurea a 24, appena è stato possibile. I dati Istat confermano che molti se ne vanno anche durante lo stesso periodo di studio, senza aspettare la laurea.
Nell’articolo del Sole 24ore a firma di Claudio Bruno, Claudio Tucci, Eugenio Bruno si sostiene che “è proprio [nella fascia d’età 25-34 anni] che stiamo messi peggio visto che eravamo e restiamo penultimi nell’Unione europea dopo la Romania. Ebbene, nonostante l’emigrazione giovanile sia diminuita del 21% nell’ultimo anno censito (2021 su 2020) e sia calato della stessa misura anche il numero dei laureati espatriati nella medesima fascia di età, non si è ridotta invece la quota dei laureati sul totale dei giovani espatriati che è rimasta stabile (dal 45,6% del 2020 al 45,7% del 2021). Con un saldo migratorio a sua volta in discesa, ma ancora fermo a 7mila unità nel 2021.”
“Se dal particolare risaliamo al generale, torniamo ai 248mila laureati esportati nell’intero periodo 2012-2021 e li confrontiamo anno su anno con il totale dei laureati (stavolta di fonte Mur), scopriamo che il loro peso percentuale sul totale fatica a ridursi.”
Chi parte dimostra coraggio ma ce ne vuole di più a restare
Chi è andato via anni fa, ha vissuto esperienze in diversi Paesi e continenti, in diverse attività. Tutto questo ha consentito loro di acquisire esperienze preziose, imparare più lingue, maturare conoscenze preziose e guadagnare molto più dei loro coetanei rimasti in Italia. Se si ha la fortuna di partire con un contratto in mano è certamente meglio. Oltre al contratto ci vuole la disponibilità a muoversi, aderendo alle necessità aziendali. Nel caso di chi inizia nei villaggi vacanze, settore turistico, succede che si vada a fare esperienze in Egitto, in Tailandia, in Marocco o ai Caraibi. Chiaro che se si è da soli questo è ancora più facile e favorevole. Nel caso di chi lavora nel settore informatico l’Irlanda, gli Stati Uniti ma anche l’Australia o la Cina possono essere le mete ottimali.
Nel caso di chi opera nel settore costruzioni i Paesi possono essere tantissimi, aziende europee ed americane operano in Sud America, in Africa, in Medio Oriente. Per chi opera nel settore bancario molte sono le opportunità nell’Unione Europea o in Gran Bretagna. Artisti, operatori dello spettacolo in genere, creativi, pubblicitari trovano in Barcellona o Vancouver ma anche nelle megalopoli americane, le opportunità più seduttive.
La cosa che sempre sorprende tutti, compreso chi scrive, è come sia più facile, per un italiano, affermarsi nel lavoro all’estero. Siamo talmente abituati alle difficoltà che tutto pare più semplice e scorrevole. Le difficoltà ci sono sempre, è chiaro, ma per uno che ha vissuto in Italia, niente fa spavento.
Cervelli in fuga, non si torna indietro
Così pare davvero incomprensibile come la fuga non abbia dimensioni superiori a quelle registrate. Spesso dall’Italia mi viene chiesto se ho nostalgie, se mi manca qualcosa, se ho tutti comfort necessari nell’ esperienza estera. Non ho mai trovato un italiano emigrato, tra questi giovani o ex giovani, che abbia un rimpianto. Tutti amano l’Italia e ci tornano volentieri per una vacanza, a trovare amici e familiari ma la frase ricorrente tra loro è: “non vedevo l’ora di ripartire!”
La sensazione, tornando in Italia, è che le cose non siano cambiate e, se possibile, siano peggiorate. Una cappa di tristezza e di rinuncia avvolge coetanei di chi è scappato a suo tempo e che lascia preoccupati per il futuro del Paese. Ovviamente la sfiducia è grande e lo si vede nei dati della scarsa affluenza elettorale, nella vasta disoccupazione femminile e giovanile, nella desertificazione culturale e produttiva del sud, nel disastro ambientale continuo cui non si riesce a mettere riparo ai problemi della sanità, della sicurezza e delle frodi.
Che fare per invertire la tendenza?
A dirlo è molto semplice ed anche molto chiaro, stando all’estero: abbassare le tasse! Mettere in moro politiche energetiche che favoriscano le energie rinnovabili, agire anche drasticamente, mentre segue la fornitura di petrolio e gas per le esigenze della grande impresa. Agevolare ampiamente la piccola e media impresa, detassando il lavoro. Aumentare gli stipendi, istituire il salario minimo, ma non basta. Siamo già in ritardo parlando di 9€ l’ora. In Germania è di 12€. Occorre dare garanzie al giovane perché abbia l’opportunità di crearsi una famiglia, che poi va aiutata con mutui agevolati e asili nido gratuiti. Valorizzare e qualificare gli insegnanti, dare loro più autorevolezza, fare che la scuola non sia un parcheggio per disoccupati futuri ma un tutt’uno con il mondo del lavoro.
Porte aperte a chi voglia investire in Italia (ridurre il peso della burocrazia e dei no incrociati) ma anche delle mafie. Niente tasse per almeno 5 anni, sia per gli investitori che per i pensionati di altri Paesi europei. Questo lo si mette già in atto all’estero, non è impossibile. Se in Italia tutto è complicato è solo colpa della sudditanza politica alla criminalità organizzata, agli speculatori finanziari, alla volontà di ridurre il nostro Paese a un luogo di sfruttamento delle sue ricchezze e delle sue potenzialità, da parte di speculatori e multinazionali. Se però non si interviene non c’è futuro!