Cinema chiusi, attori e registi contro Marino: no a conversione
Una lettera indirizzata al sindaco Marino e agli assessori Marinelli e Caudo: le proposte per valorizzare spazi chiusi
Paolo Sorrentino e Toni Servillo. Valerio Mastandrea. Gabriele Salvatores. Paolo Virzì. E ancora, Ettore Scola e Bernardo Bertolucci. Un nuovo film che li vede tutti insieme? No. Tutti questi artisti, attori e registi, sono accomunati da un altro particolare: sono tutti firmatari di una lettera, indirizzata al sindaco di Roma Ignazio Marino e agli assessori alla Cultura e all’Urbanistica di Roma Capitale, rispettivamente Giovanna Marinelli e Giovanni Caudo.
“Abbiamo letto in questi giorni la memoria sui 42 cinema abbandonati approvata il 20 gennaio dalla Giunta capitolina – si legge nella lettera – alla presentazione della quale non siamo nemmeno stati invitati”. La memoria di Giunta sui cinema chiusi, approvata lo scorso 20 gennaio e presentata alla Sala Polifunzionale dei Mercati di Traiano, chiede di recuperare e rinnovare questi spazi chiusi, a favore di una riqualificazione dei contesti urbani.
In tutto, risultano essere 42 i cinema chiusi negli ultimi anni, in tutta Roma, ovvero tra centro storico e periferia, alcuni dei quali anche di notevole pregio storico e architettonico – secondo quanto emerge da una mappatura delle strutture dismesse. Quindi, è stato istituito un tavolo congiunto tra gli assessorati competenti, al fine di predisporre un avviso pubblico finalizzato alla presentazione di progetti di riconversione delle sale cinematografiche a valenza culturale e sociale.
FARE, NON DISFARE. “Con grande rammarico – continua la lettera – ci troviamo nuovamente a concentrare forze e parole in difesa di quanto è a noi più caro: il cinema, nel suo più ampio significato. Innanzitutto, come atto di indirizzo, la memoria dovrebbe spingere al ‘fare’ e non al ‘disfare’ ”. Secondo gli attori e registi, infatti, non è “valorizzazione” un “ipotetico processo che nasce da un cambio pressoché totale della destinazione d’uso di una sala cinematografica”. “E come possiamo accettare che si dichiari alla stampa che questa memoria riaprirà le sale cinematografiche, se non c’è nessuna corsia preferenziale per questo tipo di riattivazione?” – chiedono.
“Né – continuano – troviamo coerente prevedere deroghe al piano regolatore per riconvertire oltre il 50% della superficie utile lorda in funzioni diverse da quella culturale e sociale”. Perché “cambiare destinazione d’uso significa perdere proprio la destinazione d’uso che si dichiara di difendere, quella appunto sociale e culturale. Motivare questa riconversione con piccole percentuali qualificate di ‘alto valore culturale e sociale per un territorio’ può causare la scomparsa di più del 70% degli spazi sociali e culturali garantiti dal piano regolatore e quindi portare ad un ‘sacco’ di Roma per ciò che riguarda questi edifici, causando l’ulteriore perdita di quello che è sia un servizio per il vicinato sia un luogo che potrebbe rappresentare il fulcro sociale e culturale di ogni quartiere, un elemento fondamentale per l’equilibrio urbanistico tra spazio pubblico e privato”.
UN PERICOLOSO PRECEDENTE. Inoltre, dicono ancora registi e attori nella lettera indirizzata a Marino, “la concessione di questi privilegi (sconto sugli oneri e deroghe al Prg) può costituire un pericolosissimo precedente: siamo infatti certi che, quando in futuro ci saranno altre amministrazioni, esse non esiteranno ad appellarsi a questa memoria per redigerne di altre che comprendano anche i cinema chiusi dopo il 31 dicembre 2012. Si incentiverà così l’abbandono delle sale, nella speranza per i proprietari che arrivi una nuova memoria che comprenda anche quelle chiuse dopo il 2012, provocando dunque un vertiginoso aumento degli affitti”.
IL CASO NUOVO CINEMA PARADISO. Del resto, la stessa Delibera Nuovo cinema Paradiso, scrivono ancora, “si è indebolita ogni 10 anni: nel 1995 fissava all'85% la superficie ad uso culturale tutelata, nel 2005 tale limite è stato portato al 50%, ed oggi nel 2015 la memoria auspica l’abbattimento anche di quest’ultima barriera. È evidente che tale debolezza ha portato in passato a scempi come quello del cinema Etoile, così come quello tentato (e speriamo sventato) al Metropolitan, e che porterà i proprietari delle sale a sperare in norme ancora meno restrittive nel 2025”.
LA PROPOSTA. Probabilmente, “il tutto nasce da un presupposto errato – si legge sempre nella lettera – cioè l’accettazione dell’esistente: le sale sono vuote, convertiamole. Una sequenza non preceduta da un reale tentativo d’intervento culturale e sociale su questi spazi”.
Come ovviare allora al problema? “Perché non proporre invece di mettere a bando la loro riattivazione in quanto sale per il cinema, integrate esclusivamente da funzioni sociali e culturali, facilitando tale processo con riduzioni di oneri, incentivi edilizi ed uno speciale sportello velocizzato per il rilascio dei dovuti permessi?” – si legge ancora nella lettera, nella quale si avanza un’altra proposta: “Le sale di proprietà comunale più aggravate da una condizione di fatiscenza potrebbero, inoltre, essere assegnate gratuitamente in cambio della loro riattivazione e ristrutturazione, facilitando dove lo si riterrà opportuno la loro riconversione in cityplex (come a Parigi, Londra, Istanbul o Lione) o in mediateche dedicate al cinema, del tutto assenti sul territorio romano; o, ancora, in biblioteche o aule studio”.
CENSIMENTO, RAPPORTO COL TERRITORIO. Ma ancor prima di ogni passo, aggiungono i firmatari della lettera, “occorre portare a termine il censimento indicato dalla direttiva del ministro Franceschini concernente la sale cinematografiche di interesse storico, al fine di valutarne con cura la singole esigenze di tutela, nonché il rapporto di ogni diversa sala con il territorio circostante e con tutta la città. Solo così saremo certi di non regalare nulla alla speculazione edilizia e dare, anzi, una nuova prospettiva di rigenerazione alla città di Roma”. Successivamente, “convinti che i cinema non debbano rimanere chiusi, nella situazione in cui non si siano trovate soluzioni e che la sala non sia vincolata dal Mibact, previo studio del territorio e mantenendo uno sguardo ampio su tutta la città, saremo pronti a capire insieme, e in maniera partecipata, in quali territori potrà invece essere utile una riconversione, di certo non oltre il 50% e senza alcuna diminuzione di oneri concessori, che potranno anzi essere invece vincolati alla riqualificazione di sale ancora attive o da riattivare, impedendo in futuro gli stessi rischi delle prime”.
PARTECIPAZIONE CONDIVISA. “Eccoci allora disponibili – concludono registi e attori – come faremo già quando venerdì 3 marzo una nostra delegazione riporterà questi nostri ragionamenti alla riunione congiunta delle commissioni Cultura e Urbanistica dell’Assemblea capitolina, a costruire quella rete innovativa da voi citata, non per interessi e soggetti diversi, ma per studi, proposte e programmi di attivazione concreti e preventivi, aggiungiamo noi, del tutto assenti alla data di oggi”.