Clima e inquinamento, neanche il Covid-19 aiuta… gli eco-catastrofisti
Studi di Arpa evidenziano come il virus non sia minimamente legato allo smog. E la NASA piega i dati dei lockdown globali per adattarli al teorema del climate change
Il Covid-19 non ha nulla a che vedere con clima e inquinamento. Sembra un’ovvietà – e infatti lo è -, ma ormai la ricerca scientifica è necessaria anche per scoprire l’acqua calda. A maggior ragione in un’epoca storica in cui, in caso di discrepanza, si tende a sacrificare i dati sull’altare dei teoremi. In una distorsione del metodo scientifico che ha contagiato (è il caso di dirlo) perfino la NASA.
Clima e inquinamento, nessuna relazione col Covid-19
Lo smog non favorisce la diffusione del coronavirus. Questa la conclusione di uno studio condotto dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr e dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente-Arpa Lombardia. La ricerca, pubblicata sulla rivista Environmental Research, ha esaminato le concentrazioni del patogeno all’aperto, nell’inverno 2020, a Milano e Bergamo. Due tra i principali focolai di Covid-19 del Nord Italia, nonché due città caratterizzate da elevato inquinamento atmosferico.
Gli scienziati hanno cercato di capire se il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide presenti nell’atmosfera, potesse fungere da veicolo per il SARS-CoV-2. Risultato: «Escludendo le zone di assembramento, la probabilità di maggiore trasmissione in aria del contagio in outdoor in zone ad elevato inquinamento atmosferico appare essenzialmente trascurabile».
Tradotto, significa che è praticamente impossibile contagiarsi all’aperto, perfino in aree urbane insalubri. Il che dovrebbe far tirare un sospiro di sollievo, soprattutto se si considerano i dati preliminari di un’altra analisi, realizzata da Arpa Piemonte. Che evidenzia come, malgrado il lockdown abbia fatto crollare i livelli di traffico, le polveri sottili PM10 siano aumentate.
La colpa viene attribuita al meteo, ma anche al maggior utilizzo dei riscaldamenti domestici. Spiegazione magari plausibile per il momento contingente, molto meno per il periodo degli arresti domiciliari, tra marzo e maggio.
En passant, il corollario dello studio congiunto Cnr-Arpa Lombardia sarebbe che le mascherine all’aperto sono inutili, salvo il caso di affollamenti. Che poi era il giudizio iniziale di Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell’Oms, prima di fare inversione a U ad aprile inoltrato. A conferma che l’Organizzazione Mondiale della Sanità riesce ad avere torto anche le rare volte in cui ha ragione.
Pandemia e cambiamenti climatici
A fine agosto, per esempio, il numero uno della World Health Organization instaurò un delirante collegamento tra emergenza clinica e istanze eco-catastrofiste. «La pandemia» era il “ragionamento” tra-decine-di-virgolette, «ha dato un nuovo impulso alla necessità di accelerare gli sforzi per rispondere ai cambiamenti climatici». Proprio ciò che ci si aspetta da un ente sanitario, verrebbe da commentare.
Il problema, però, è a monte, e riguarda proprio il climate change – o meglio, le presunte responsabilità dell’uomo. Che il clima sia soggetto a variazioni, infatti, è un truismo, per questo le cassandre dell’ambientalismo si sforzano di creare una correlazione con le attività antropiche. Che, va da sé, è pressoché inesistente.
Clima e inquinamento, contagiata anche la NASA
Ci è cascata anche la National Aeronautics and Space Administration, per gli amici NASA. Che, in un recentissimo report, ha affermato che il 2020 contende al 2016 il record dell’anno più caldo mai registrato su scala globale. La temperatura superficiale media, infatti, ha superato di 1,02°C quella del periodo di riferimento 1951-1980, e i motivi sarebbero gli incendi australiani e l’epidemia. O meglio, i confinamenti che hanno ridotto l’inquinamento atmosferico in molte regioni (non il Piemonte, evidentemente…), permettendo a una maggiore quantità di raggi solari di raggiungere la superficie terrestre.
Al contempo, l’anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata – nonostante le emissioni di CO2 siano crollate. Elemento riportato senza alcuna delucidazione, onde evitare di riconoscere che la concentrazione di biossido di carbonio non dipende, se non in minima parte, dalle attività umane.
Ora, sforzandoci di ignorare il fatto che ora la diminuzione dello smog viene spacciata per cattiva notizia, si potrebbe intanto discutere il periodo di riferimento. Che non è accidentale, perché guarda caso in quegli anni la temperatura planetaria era in discesa, tanto che gli allarmisti ante litteram paventavano un’imminente era glaciale. Mai verificatasi, ça va sans dire.
Altrettanto curioso è un breve inciso in cui la NASA ammette di aver «dedotto le temperature delle regioni polari di cui mancano le misurazioni». Galileo Galilei si starà rivoltando nella tomba.
I dati e la loro interpretazione
Resta comunque un forte divario tra i dati e la loro interpretazione, che sa tanto di adattamento alla teoria preconfezionata. In effetti, ciò che gli esperti continuano a ignorare è la conclusione a cui un luminare del calibro di Antonino Zichichi era già pervenuto da tempo. «L’azione dell’uomo incide sul clima per non più del 10%. Al 90%, il cambiamento climatico è governato da fenomeni naturali dei quali, ad oggi, gli scienziati non conoscono e non possono conoscere le possibili evoluzioni future».
Il primo e più importante di questi fenomeni è l’attività del Sole. Seguono i cosiddetti cicli di Milanković (i cambiamenti periodici dell’eccentricità dell’orbita della Terra, dell’inclinazione e della precessione dell’asse terrestre) e, in misura minore, il vulcanismo.
Come si vede, se si parla di clima e inquinamento non vi è alcuna necessità di tirare in ballo la nostra specie, né tantomeno il virus. E dopotutto, come sostiene il rasoio di Occam, di solito la soluzione più semplice è anche quella giusta. Con buona pace dei profeti di sventura, s’intende.