Con incredibile naturalezza contro il dramma. Manuel Bortuzzo si racconta
Esce oggi il libro dello sfortunato, ma ammirevole, nuotatore triestino. Ferito nel febbraio scorso “per errore” e paralizzato alle gambe. Forse, però, con una chance di recupero
Una pausa, perché no?
Una pausa dalle vicende della politica, con le loro miserie. E dell’economia, con le loro iniquità. E della cronaca nera, che da un lato fanno scattare la scintilla della curiosità istintiva e dall’altro lasciano dietro di sé un alone di disgusto. Gente che ammazza per futili motivi. Violenze vigliacche. La feccia che sale alla ribalta.
Stamattina, invece, lasciamo tutto questo da parte e ci dedichiamo a una bellissima storia. Non ancora con il lieto fine – che chissà se un giorno arriverà davvero, anche se non si può non augurarselo di cuore – ma già piena di elementi positivi e straordinari. A modo loro confortanti, nonostante il dramma. Anzi: tanto più confortanti, riguardo a ciò che di buono si annida nella natura umana, proprio perché legati a un dramma. Che avrebbe schiantato tantissime altre persone e che invece, in questo caso, è stato affrontato nella maniera migliore: è successo quello che è successo. Ne prendo atto. Reagisco. Mi do da fare per non esserne sommerso, affogato, sconfitto.
Lui – lo sapete – si chiama Manuel Bortuzzo. Un giovane nuotatore che si stava preparando per le Olimpiadi del prossimo anno e che invece, la sera del 2 febbraio scorso, è stato ferito da due criminali di mezza tacca ma dalla pistola facile. Poco prima erano stati angariati da altri delinquenti della loro stessa risma e adesso erano in cerca di vendetta. Si sono muniti di una pistola e messi in caccia. Hanno visto Manuel, che era lì per i fatti suoi insieme alla fidanzata, e da lontano gli è sembrato che si trattasse di uno dei rivali.
Avvicinarsi? Controllare?
Figurati.
Dal sellino della moto uno dei due ha sparato. Un colpo ha raggiunto Manuel alla schiena e ha danneggiato la colonna vertebrale. Il midollo osseo. La linea di trasmissione degli impulsi cerebrali.
I due sono scappati.
Manuel è stato portato in ospedale.
I due sono stati arrestati.
Manuel ha appreso la drammatica verità: la lesione gli aveva paralizzato le gambe.
“Sono tornato, amica Acqua”
Che fosse di una tempra speciale lo si era visto subito. Nello sguardo che è rimasto limpido. Nella naturalezza – al limite dell’incredibile – con cui ha registrato quel cambiamento sconvolgente e lo ha ricondotto negli argini del suo consueto dinamismo, da atleta che è abituato a non risparmiarsi e a martellare ogni singola difficoltà nel tentativo di rimuoverla: le gambe sono paralizzate, il mio spirito è forte. Il mio corpo è cambiato, io sono rimasto lo stesso.
Non era solo una reazione istintiva, orgogliosa ma transitoria.
Era – è – una condizione interiore, benedetta e per nulla casuale. Una solidità che si costruisce nel tempo. Probabilmente a partire da fondamenta innate, e dalla fortuna di una famiglia amorevole e anch’essa forte, ma il resto bisogna guadagnarselo da sé. E affinarlo, e riconfermarlo, giorno per giorno.
Manuel è tornato in piscina. Dalla sua amica acqua. Che a differenza dell’aria, così impalpabile e inconsistente, è in grado di sostenerlo quasi come prima.
“Bentornato, tutto bene?”
“Non proprio, ma diciamo di sì.”
Dal ferimento sono passati nove mesi. E oggi – proprio oggi, il 5 novembre – esce il suo libro. Che si intitola “Rinascere. L’anno in cui ho ricominciato a vincere”. E che durante la presentazione televisiva da Fabio Fazio ha dato modo a Manuel di rendere pubblica una notizia che finora aveva preferito non diffondere: la lesione midollare non è completa, come era apparso inizialmente, e questo dischiude la possibilità di un recupero. «Mi ero dato 10 anni per tornare a camminare», dice lui. Volesse il Cielo che ci riesca davvero. E che ce ne vogliano molti di meno.
Quanto al volume, una toccante agenzia dell’Ansa (ehi, c’è una bella penna e un bell’animo, nell’anonimo estensore) lo presenta così: “racconta ciò che di Manuel non sappiamo: la sofferenza, lo sconforto, la rabbia dopo ‘quella notte’, e più ogni altra cosa la forza che ha dovuto trovare dentro di sé, quello che ha imparato da questa vicenda, la determinazione dello sportivo e del ragazzo speciale che ha dimostrato di essere. Sono 176 pagine di dolore e di gioia incontenibile”.
Voi non so. Ma io sono impaziente di leggerle.