Con la scusa del razzismo: si potrà parlare soltanto se si dà ragione al sistema
La libertà di pensiero e di parola si restringe. Il pretesto sono gli esagitati che delirano online e i buuu negli stadi. L’obiettivo è vietare ogni rivolta contro i modelli dominanti
Parliamo di idee. E se pensate che siano discorsi astratti, fate l’errore più grave in cui si possa incappare. Se credete che le emergenze di cui discutere siano solo o principalmente quelle dell’economia che traballa (il Pil che non cresce, il lavoro che scarseggia, la fuga dei cervelli, e via confondendo la vita sociale con i bilanci di una holding), vuol dire che non vedete al di là del vostro naso.
Vi state illudendo di essere pragmatici e invece avete il paraocchi. Scrutate un pezzetto di terra, sotto i vostri piedi, e lo scambiate per l’intero pianeta. Non è La Terra. È solo “terra terra”.
Parliamo di idee. E quindi parliamo dei media che le diffondono. Quei media che per molto tempo hanno avuto un sostanziale monopolio dei messaggi collettivi. Soprattutto dagli anni Ottanta in poi, con il dilagare delle tivù in stile Mediaset e con la “morte” delle ideologie. Inneggiare alla libertà di parola, in quelle condizioni di egemonia, era facilissimo e senza alcun rischio: perché in effetti stavano celebrando il loro potere di parola. In teoria quella libertà era di tutti: evviva l’articolo 21 della Costituzione. In pratica era appannaggio esclusivo di chi aveva i capitali necessari a gestire la stampa ad alta tiratura e i principali network radiotelevisivi: evviva l’articolo 1 del Capitalismo, “Chi ha più soldi più comanda”.
La gente qualsiasi poteva chiacchierare e lamentarsi quanto voleva: ma restavano chiacchiere private.
Poi, com’è noto, sono cambiate diverse cose. Più o meno in simultanea, se ragioniamo in termini di decenni. Limitiamoci a ricordarne due, senza però dimenticare lo sfondo. Con una globalizzazione sempre più truccata. Con una speculazione finanziaria sempre più ingorda.
Mutamento uno, si è diffuso a dismisura l’uso dell’informatica e della Rete. Mutamento due, la crisi economica del 2008 ha acuito le disuguaglianze di reddito e moltiplicato la precarietà del lavoro e l’insicurezza del futuro. Una trasformazione così vasta e grave e permanente che non bisognerebbe parlare di “crisi del 2008” ma di “crisi dal 2008”.
Il sistema ha esaurito le sue lusinghe.
La popolazione è diventata via via più insofferente. E sia pure in modo spesso confuso – vedi il fideismo dei sostenitori M5S e certe semplificazioni alla Salvini – ha capito che “quelli lassù” non la raccontavano giusta. Ma proprio per niente.
Commissione Segre: le manette al dissenso
La questione delle cosiddette fake news nasce da questo: se la propaganda è di sistema, anche le bugie più clamorose sono semplici sviste; se invece ci si azzarda ad andare contro il Pensiero unico del liberismo e dei diritti universali, anche i dubbi più logici sulle versioni ufficiali sono infami menzogne.
Se gli USA condizionano la vita politica ai quattro angoli del mondo, usando qualsiasi strumento dalle pressioni economiche alle operazioni di intelligence e agli interventi armati, è il lodevole tentativo di esportare la democrazia. Se la Russia fa le sue contromosse militari o politiche, e osa utilizzare a proprio vantaggio i canali di Internet, è una intollerabile minaccia al Mondo Libero.
Già. I dogmi dell’establishment sono Sacri Principi da custodire e diffondere. I punti fermi di chi vi si oppone sono pregiudizi beceri da debellare.
Ed eccoci all’Italia. Alla commissione Segre. A Balotelli che si erge a tribuno dell’Integrazione. Agli accorati interventi di chi predica l’accoglienza pressoché indiscriminata: facendo finta che i popoli non esistano e che le differenze antropologiche siano una mera illusione. Alle sdegnate reprimende di chi accusa di xenofobia chi vorrebbe semplicemente preservare la propria identità: senza avere la pretesa che questo renda superiori, ma nella consapevolezza che rende differenti. E quindi non amalgamabili, men che meno da un giorno all’altro, con chi ha tutt’altre tradizioni e tutt’altri valori. Più che legittimi a casa propria. Invasivi in casa d’altri.
Quella del razzismo, dunque, è una emerita scusa. E allo stesso tempo è una strategia che parte da lontano: un passettino alla volta – una forzatura alla volta – e alla fine si raggiunge il vero obiettivo. Che è quello di mettere il bavaglio a chiunque non accetti i “valori” del modello economico e sociale oggi dominante.
Il trucco è presto detto: trasformare le idee sgradite al sistema in reati penali. Ma tutto in una volta non si poteva fare. E allora bisognava arrivarci per gradi.
Come? Superando la classica distinzione tra teoria e pratica. Tra sentimenti interiori e comportamenti effettivi. Tra ostilità personali e discriminazioni pubbliche. Dalla Legge Mancino del 1993 alla Commissione Segre di oggi.
Massimo Fini è tornato a stigmatizzarlo, con la consueta incisività, su Il Fatto quotidiano di martedì scorso. “L’odio è un sentimento, come la gelosia, l’ira, l’amore e ai sentimenti, in quanto tali, non si possono mettere le manette. (…) In una democrazia tutte le opinioni o ideologie o sentimenti, giuste o sbagliate che siano, dovrebbero avere diritto di cittadinanza. L’unico discrimine è che nessuna opinione, nessuna ideologia, nessun sentimento può essere fatto valere con la violenza. Io ho il diritto di odiare chi mi pare, ma se gli torco anche solo un capello devo finire in galera.
L’istituita Commissione va oltre la legge Mancino perché si focalizza anche sui nazionalismi, gli etnocentrismi e sulla politica. In base a questa concezione, Donald Trump che afferma “America first” dovrebbe finire in gattabuia. E con lui qualsiasi formazione politica che non sia in linea con le opinioni del grande fratello di orwelliana memoria o che abbia un orgoglio etnico”.
Parliamo di idee. Parliamo di chi vuole cancellarle – e quindi ucciderle – perché non coincidono con le proprie. O meglio: con quelle del sistema di potere al quale aderisce. Vuoi per fanatismo, vuoi per convenienza.