Conte-bis, dal taglio dei Parlamentari al taglio della maggioranza?
È legge la riforma-simbolo del M5S. Ora scattano le strategie pre-referendum, ma il provvedimento è un’assicurazione sulla vita della legislatura
Con una similitudine da giocatori di carte in erba, si potrebbe dire che il Conte-bis è un Governo taglia-tutto. Anche se stesso. O, almeno, questo è il rischio una volta portata a casa, sia pure tra mille polemiche e qualche difficoltà, una delle riforme-simbolo del M5S – quella appunto del taglio dei Parlamentari, che dagli attuali 945 diventeranno 600: segnatamente, 400 deputati (ora sono 630) e 200 senatori (al posto degli odierni 315).
Un provvedimento che ha messo d’accordo (quasi) tutti, anche perché con il cambio di esecutivo si è trovato all’opposizione chi aveva sempre avallato la misura (la Lega), e in maggioranza chi non l’aveva mai votata nelle tre precedenti letture (il Pd): non a caso, per dare il proprio consenso i dem hanno preteso un pacchetto di contrappesi comprendenti, tra l’altro, una rapida modifica della legge elettorale e l’abbassamento dell’età di elezione (sia attiva che passiva) per Palazzo Madama.
Sgombrando subito il campo da equivoci, a noi sembra una riforma positiva – anche se non per i motivi addotti dai Cinque Stelle: i quali ne hanno fatto una mera questione di risparmio (che ci sarà, anche se in misura minore rispetto alle cifre sbandierate dai grillini, che già sarebbero state irrisorie rispetto alla spesa pubblica), quando invece il vero guadagno per le due Camere dovrebbe consistere in un rilancio dell’efficienza.
Diamo comunque a Di Maio quel che è di Di Maio, e registriamo che il MoVimento ha mantenuto un’altra promessa elettorale: il che, a prescindere dall’opinione sui singoli provvedimenti, è certamente cosa buona e giusta.
Di fatto, però, i giochi non sono ancora del tutto chiusi. Innanzitutto perché, trattandosi di una revisione della Costituzione, il mancato quorum dei due terzi in entrambi i rami del Parlamento rende possibile – per non dire probabile – un referendum confermativo. Ma, soprattutto, per via delle strategie di Palazzo.
Se, infatti, Matteo Renzi aveva anticipato la scissione dal Partito Democratico per rimarcare la propria assoluta centralità nello scacchiere governativo, la fronda pentastellata (si parla di una trentina di deputati) è altrettanto pronta allo strappo con Giggino – a conferma che è sempre più facile parlare dei privilegi degli altri che agire contro i propri.
Vero è che proprio il leader di Italia Viva è il principale motivo per cui il Governo rosso-giallo potrebbe far bene a non stare sereno: se infatti i sondaggi della sua neonata formazione dovessero essere negativi, potrebbe scattare il «casino» preconizzato dall’ex Guardasigilli Andrea Orlando; se invece le rilevazioni dovessero premiarlo, l’ex Rottamatore potrebbe salvinianamente decidere di capitalizzare il consenso, e al tempo stesso i suoi avversari, in primis Nicola Zingaretti, potrebbero essere tentati di staccare la spina al BisConte per tarpargli le ali – e verrebbe da dire “chi è causa del suo mal pianga se stesso”, considerato che, se il segretario Pd avesse semplicemente tenuto fede a ciò che aveva sempre detto (in sostanza, mai col Movimento 5 Stelle) l’altro Matteo sarebbe stato finito, invece Zingaretti gli ha metaforicamente messo in mano una pistola e suggerito di premere il grilletto.
In realtà, però, la sforbiciata assomiglia molto a una sorta di “assicurazione sulla vita” di questa legislatura, soprattutto con riferimento ai parlamentari che già avevano poche probabilità di essere rieletti, e ancor più difficilmente lo saranno ora che gli scranni sono diminuiti: il che riguarda praticamente tutti escluso il Carroccio, l’unico partito pressoché sicuro di aumentare i propri eletti.
Se a ciò si aggiunge il fatto che vari rappresentanti al primo mandato, in caso di crisi precoce, direbbero addio al vitalizio (che scatta dopo quattro anni, sei mesi e un giorno di legislatura), si capisce perché il bi-Premier Giuseppe Conte può guardare al futuro con relativa fiducia. Perché storicamente è meglio tirare a campare che tirare le cuoia.