Continua la quarantena ma dobbiamo prepararci a rimettere il naso fuori di casa
Non ci vuole un dottorato di ricerca a Harvard per rendersi conto che il vero problema non è adesso, non sono i due mesi chiusi in casa…
Siamo esattamente a metà, al ventesimo giorno di questa assurda quarantena. Una condizione che non avremmo mai pensato di vivere, soprattutto oggi. Invece è così, ci siamo dentro e “siamo tutti sulla stessa barca”. Ma quale barca? E, soprattutto, dove stiamo andando? Quello che tutti noi stiamo vivendo è al limite del paradossale, la sceneggiatura degna dei migliori film di fantascienza: l’ultimo che mi viene in mente in questo momento è “Io sono leggenda”. Aggirarsi per le strade della nostra città o dei nostri paesi anche solo per fare la spesa o comprare le sigarette ci fa sembrare protagonisti inconsapevoli di una delle migliori serie di Netflix. Iniziamo ad assistere ai primi segni di cedimento psicologico ed economico, non da ultimo i casi ripresi dai social in cui c’è gente – purtroppo – che non ha soldi per comprare la spesa.
Ma dove stiamo andando, mi ripeto. Chi ci governa sembra essere più smarrito di noi, assistiamo da giorni a comparsate sulle maggiori piattaforme digitali (un tempo si usava il canale istituzionale di Mamma Rai) in cui non viene detto nulla se non “torneremo migliori di prima”. Ma dove, come, con chi? Non è necessario essere un virologo per capire che questo virus sarà sconfitto o con un vaccino (che avremmo non prima di un anno) o con le nostre difese immunitarie.
Ciò che i nostri sanitari stanno facendo in questo periodo è encomiabile, ma non basta.
Non ci vuole nemmeno un dottorato di ricerca a Harvard per rendersi conto che il vero problema non è adesso, non sono i due mesi chiusi in casa, ma ciò che questo comporterà a livello economico nel medio e lungo periodo con una Unione Europea (e una Germania) che ci ha manifestato di essere ostile.
Dobbiamo contare sulle nostre forze, ma devono lasciarcelo fare. L’incertezza di chi ci governa, che avevamo già avuto modo di testare prima di questo periodo incredibile, in questi giorni si sta palesando in maniera ancora più forte ed eloquente. Le misure messe in atto sono insufficienti, inappropriate e non rispondo alle esigenze dei professionisti del settore.
Nei Tribunali, ormai, vige il caos più totale: vengono emessi dei sequestri preventivi su conti correnti ad imprenditori che in questo momento non stanno lavorando ma che, al tempo stesso, devono pagare gli stipendi ai propri dipendenti.
Il principale ente previdenziale del sistema pensionistico pubblico italiano è in overbooking: solo questa mattina i sistemi dell’INPS erano totalmente intasati in ragione del sovraccarico di domande per la cassa integrazione e il bonus dei 600 euro.
Che cosa dobbiamo fare quindi?
Bisogna consentire che la vita riprenda. E bisogna consentirlo ora. Sono tre settimane che l’Italia è chiusa e c’è gente che non ce la fa più. Non ha più soldi, non ha più da mangiare. I tentacoli dell’usura si stanno allungando minacciosi, specialmente al Sud. Senza soldi vincerà la disperazione. Serve attenzione, serve gradualità, serve il rispetto della distanza. Ma bisogna riaprire.
L’Italia non può rimanere ibernata per un altro mese perché così si accende la rivolta sociale. I balconi presto si trasformeranno in forconi; i canti di speranza, in proteste disperate. È per questo che le istituzioni devono agire senza perdere nemmeno un giorno.
Bisogna agire. Serve un piano per la riapertura. Le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua. Poi gradualmente tutto il resto. I negozi, le scuole, le librerie, le Chiese.
Ma torniamo all’emergenza economica.
Ogni tipo di richiesta di denaro va sospesa: tasse, affitti, mutui. Chi è stato chiuso regge se gli elimini le scadenze o se gli offri una straordinaria iniezione di liquidità. È la sola strada: lo Stato deve dare garanzie alle banche e le banche devono garantire liquidità. Senza pretendere modulistiche infernali, deve bastare un modulo di richiesta sulla base del fatturato dell’anno prima e la garanzia dello Stato.
Bisogna che i soldi arrivino alle aziende e che le aziende ripartano subito. Altrimenti saltano i posti di lavoro. E allora i soldi andranno solo in misure assistenziali, ma il Reddito di cittadinanza per tutti non funziona, non garantisce la ripartenza.
La stagione del coronavirus ha un prima, un dopo, ma anche un durante. Non staremo più attaccati nei ristoranti, agli aperitivi, si andrà al cinema e al teatro mantenendo la distanza di sicurezza. Si eviteranno i posti affollati e si lavorerà di più da casa. Si vivrà diversamente, è vero, ma si vivrà. Bisogna ripartire. Perché l’alternativa, sennò, è chiudersi in casa e morire. Dobbiamo rimettere il naso fuori di casa.
a cura di Angelo David D’Ambrogio