COP26, la svolta Green ancora un miraggio: l’obiettivo resta il profitto
COP26 e Green economy: quello che si ristruttura è il Potere delle grandi multinazionali e la spartizione del mondo tra le grandi potenze
L’Economia globale ha sempre più fame di energia. La svolta cosiddetta Green resta un miraggio. Quello che si ristruttura è il Potere delle grandi multinazionali e la spartizione del mondo tra le grandi potenze statali.
G20 e COP26: la svolta Green resta un miraggio
Terminato domenica 31 ottobre il forum del G20, tenutosi nella nostra capitale, è subito iniziata l’altra importante riunione del COP26 a Glasgow.
La prima sigla rappresenta il Gruppo dei 20 Paesi più industrializzati, che comprende USA, Europa, paesi dell’Asia, dell’Africa e l’Australia.
Fu istituito nel 1999 a seguito di una successione di crisi finanziarie internazionali, con lo scopo di concertare le politiche economiche dei vari stati; in pratica, rappresenta i due terzi del commercio e della popolazione globali. Da allora riunisce annualmente: capi di Stato e di Governo, ministri dell’Economia e Finanza, Governatori delle Banche Centrali; si svolge in uno dei paesi membri, a turno. Viene presieduto dal Primo Ministro del paese ospitante, per cui quest’anno il prestigioso incarico è spettato al nostro Mario Draghi.
Per questo motivo se ne è parlato molto in TV e su tutti i media e sembra che l’immagine del nostro Paese ne sia uscita rivalutata; ricordiamo il modo enfatico con cui il presidente degli USA Biden al suo arrivo ha salutato Draghi: “ Tu stai facendo un ottimo lavoro qui…!”.
Esprimeva cioè il suo apprezzamento sia per l’opera di rafforzamento dell’unità dell’UE, con lo sforzo di isolare i Paesi sovranisti, sia per mantenere lo storico allineamento con gli USA.
Infatti, nel discorso pronunciato alla fine del summit, Draghi ha ribadito la fedeltà dell’Italia e della UE al Patto Atlantico, contraddicendo l’esigenza, espressa negli ultimi tempi da diversi leaders europei, per es. la Merkel, di dotare l’Europa di un esercito comune per una difesa autonoma dalle grandi potenze.
Del resto, si sa che le tante basi NATO in Italia sono state rafforzate, dotandole di bombardieri capaci di portate testate nucleari e missili a lungo raggio.
Identica politica per difendere la propria integrità stanno facendo la Russia di Putin e la Cina di Xi JinPing; queste hanno testato recentemente con successo un missile balistico ipersonico che sfugge al controllo radar.
In definitiva, ognuno predica la pace, ma nel frattempo si arma come meglio può; come dicevano i nostri progenitori: si vis pacem, para bellum.
COP26: le esigenze dell’economia, contrastano con la declamata svolta green
Per quanto riguarda i temi fondamentali del summit, il coordinamento e la ristrutturazione dell’economia globale nel senso green, che doveva servire anche come premessa al successivo vertice del COP26 a Glasgow, si sono avute soltanto sbiadite dichiarazioni di principio.
Anzi, c’è stato un arretramento rispetto agli Accordi di Parigi del 2015 che, riconoscendo l’influenza dell’attività umana sui cambiamenti climatici, avevano riconosciuto la necessità di limitare le emissioni di gas serra con la speranza di ridurre la temperatura dell’atmosfera di 1.5 gradi entro il 2050. Non soltanto la Russia e la Cina, ma anche i Paesi in via di sviluppo come Brasile e India hanno affermato la loro necessità di continuare a produrre energia dalle classiche fonti del carbone e del petrolio. Il presidente cinese non ha neppure partecipato all’incontro, inviando un ministro in sua vece.
Alla fine, come già detto, ci sono state soltanto dichiarazioni ( da parte di Biden e Draghi, per es.) per l’impegno a diminuire gradualmente il finanziamento all’uso del carbone rispetto alle energie rinnovabili.
Che restano però mere dichiarazioni di facciata, poiché sia gli USA che l’Italia producono ancora molta energia dal carbone.
Ciò che è stato sottolineato in modo forte dalle manifestazioni di protesta, molto partecipate, che si sono svolte sia a Roma che a Glasgow per contestare la politica delle grandi potenze.
Dal 31 ottobre è iniziata la COP26, la XXVI Convenzione Quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici, che si chiuderà il 12 novembre.
Sappiamo che 23 Paesi si sono impegnati per eliminare il carbone come base principale nella produzione di energia; oltre 100, a ridurre del 30% le emissioni di metano entro il 2030 ed a bloccare la deforestazione. Si attuerà davvero la tanto decantata svolta green?
Per la fame di energia dell’economia globale non basta il ricorso alle fonti rinnovabili.
Considerazioni sulla produzione di energia
Purtroppo, l’economia globale e quelle dei singoli Paesi hanno sempre più fame di energia e le rinnovabili da sole non bastano (nel 2004 coprivano il 7% del consumo mondiale). Negli ultimi anni l’incremento maggiore si è avuto nel fotovoltaico; certamente, l’energia solare è pulita, ma enormi distese di pannelli ricoprono gran parte dei terreni agricoli. E una volta esaurito il loro ciclo di vita, come saranno smaltiti?
L’energia elettrica si ottiene, come si sa, dalla trasformazione dell’energia termica e meccanica; quest’ultima può derivare direttamente dai bacini idroelettrici o dalle pale eoliche, che producono pochissimo, inquinano il paesaggio e producono rumore.
La termica si ottiene sempre bruciando combustibili, siano essi fossili o radioattivi.
I pericoli del nucleare
Questi ultimi però inquinano l’ambiente con le scorie, che permangono attive per migliaia di anni; inoltre , c’è sempre il rischio di incidenti nelle centrali nucleari, come è successo a Chernobyl, centrale di vecchia generazione, e a Fukushima, più moderna.
Nonostante ciò, sono proseguiti gli studi nel tentativo di ottenere un nucleare pulito.
Al proposito, il nostro ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, in un’intervista rilasciata a settembre parlò dei progetti di reattori a fissione di IV generazione, che riutilizzano quasi tutte le scorie come combustile.
Però, la realizzazione effettiva di questi avverrà in un futuro ancora lontano.
Il progetto ITER
Ancora un miraggio appare poi lo sfruttamento della fusione nucleare, nonostante l’impegno economico di tanti paesi (vedi il progetto ITER, in Francia).
Occorre inoltre tener presente che soltanto una parte dell’energia termica prodotta dalla combustione viene trasformata in energia meccanica; l’altra viene resa alla sorgente, quindi dissipata. Per aumentare il rendimento di una macchina termica bisogna aumentare la temperatura di essa, quindi si pone il problema del “contenitore” della combustione e del suo raffreddamento, per il quale occorre spendere ulteriore energia.
Ciò è vero per le centrali termiche tradizionali e a maggior ragione per quelle nucleari; quindi, si disperde più calore nell’ambiente, incrementando così l’inquinamento termico che si vorrebbe ridurre. In particolare, per la centrale a fusione negli attuali progetti sperimentali si spende più energia per il suo raffreddamento di quella che viene prodotta dalla reazione di fusione controllata dei nuclei, che finora è instabile, durando poche frazioni di secondo.
Si spera di allungarne il tempo di stabilità per ottenere un rendimento conveniente.
La ristrutturazione globalista ha la necessità di giustificare le sue scelte, influenzare gli orientamenti e perfino il pensiero degli individui.
Ma anche se un giorno questo divenisse possibile, che problemi avremmo risolto?
Bisognerebbe piuttosto chiedersi perché sia necessario un incremento sempre crescente, addirittura in modo esponenziale, di energia.
Energie alternative, stesso obiettivo: il profitto
La risposta più semplice, data da economisti e industriali, è consiste nella necessità di aumentare la produzione di merci, beni e servizi, in modo tale da soddisfare le esigenze della società e ridurre le disuguaglianze.
Cioè, dal punto di vista dei pochi (multinazionali, stati) che posseggono le risorse ed i mezzi di produzione, è necessario incrementare il profitto affinché il resto della popolazione possa vivere “decentemente”, nutrendosi delle briciole che cadono dalla mensa del padrone, come nell’antichità classica.
Anzi, peggio.
Nell’antichità le risorse erano quelle fornite dalla natura, modificate dal lavoro manuale del servo e dell’artigiano; era ben chiara la distinzione tra padrone e schiavo.
Oggi, non è più così.
Dalla prima rivoluzione industriale fino alla nostra epoca ipertecnologica ( che alcuni studiosi classificano come quarta rivoluzione industriale) i mezzi di produzione e le finanze si sono concentrate sempre più nelle mani di pochi.
Le classi sociali sono mutate continuamente, al punto tale che oggi, nella nostra società fintamente democratica tutti hanno gli stessi diritti in teoria, ma non nella realtà. La dinamica dei rapporti rappresentati nella politica confonde gli interessi di parte e li usa in modo strumentale, assoggettandoli alle necessità oggettive dell’Economia.
COP26, l’economia di oggi e il condizionamento psicologico
Di più. Oggi l’economia (globale) tratta l’intera vita individuale e sociale delle persone come merce, influenzandone i comportamenti con l’onnipresente e pervasiva pubblicità (palese od occulta ) ed i messaggi mistificatori di libertà veicolati da essa.
Lo scopo finale sarebbe quello di determinare non soltanto gli orientamenti, ma perfino il pensiero.
Cosa che si manifesta in maniera eclatante da certe dichiarazioni, come quelle dei big del digitale che vorrebbero collegare simbioticamente il cervello umano con l’intelligenza artificiale del computer (Elon Musk), oppure farci vivere quotidianamente una vita virtuale (Zuckerberg).
E’ perciò più che mai necessario prender le distanze da certe (im)posizioni, sottrarsi all’influenza dei social media e, piuttosto, ripensare i beni messi a disposizione dalla tecnologia come proprietà di tutti, e non dei fortunati pirati che hanno speculato sulla scienza.