Coronavirus. La follia dilaga: il governo chiude le scuole fino al 15 marzo
Stamattina sembrava un’ipotesi estrema e destinata a restare tale. Nel giro di poche ore è diventata realtà
Prudenza? No: isteria. Oppure vigliaccheria politica di proporzioni immani.
Ammesso che non ci siano altri scopi molto più infidi e inconfessabili, su cui torneremo presto e senza preoccuparci delle inevitabili accuse di complottismo, la decisione del governo di chiudere le scuole fino al 15 marzo è del tutto (del tutto!) sproporzionata ai rischi effettivi del Coronavirus, per come si sono manifestati finora. E perciò questa delirante “ipocondria di Stato” va stigmatizzata nel modo più drastico.
A meno che non ci siano degli elementi di eccezionale gravità che sono a conoscenza dell’esecutivo e che ci vengono tenuti nascosti, le misure che si stanno prendendo si riassumono nel classico “il rimedio è peggiore del male”. Nell’intento dichiarato, e sbandierato, di ridurre al minimo le possibilità di contagio, si pretende di bloccare la vita di un’intera nazione.
La vita. Ossia le attività economiche. Ossia le relazioni sociali. E familiari, persino.
Le attività economiche che saremmo ben lieti di non dover mettere al primo posto, ma della cui preminenza – per nulla casuale – siamo costretti a prendere atto. Limitiamoci al commercio, nel senso di quello quotidiano e legato alla mera sopravvivenza. Come la si deve fare, la spesa? Per telefono o via computer? Come la si deve pagare? Con bonifico bancario o con denaro preventivamente sterilizzato? Gli acquisti come te li consegnano? Con la catapulta vecchio stile o con i droni hi-tech?
Le relazioni sociali che si pretende di ingabbiare in un grottesco prontuario di nuove prescrizioni: distanza minima un metro (agevolissima sia sui mezzi pubblici che nelle file alla posta), saluti a distanza (però cordiali), partite di calcio a porte chiuse (e giocatori con le mascherine? E dribbling anch’essi a distanza di sicurezza? E rigori fischiati per un irregolare “colpo di tosse in area”?). Eccetera eccetera.
Le relazioni familiari che dovrebbero soggiacere alle medesime regole, con la difficoltà aggiuntiva di applicarle negli spazi più o meno ristretti, e giocoforza promiscui, delle normali abitazioni. Come si dovrebbe mangiare? Difficilmente alla stessa tavola, se il piano d’appoggio non è congruamente oversize. Come si dovrebbe dormire? Ma certo: in camere separate, essendo risaputo che una famiglia media di quattro persone dispone di altrettante stanze da letto, nonché di un bagno per ogni singolo componente.
Viene da fare del sarcasmo. E magari è tempo di organizzare delle ribellioni pubbliche e ripetute, in cui gli individui sensati si ritrovino come al solito e se ne stracatafottano (per dirla con Montalbano, ossia con lo Zingaretti simpatico) di questa allucinazione collettiva.
Oddio: forse è già un reato pure questo. E azzardando una protesta esplicita e di gruppo si rischia di finire in galera.
A proposito: nelle carceri come si pensa di applicarla, la Granitica e Coscienziosa Prudenza antivirus? Celle singole per tutti? Ora d’aria con mascherine? Trasferimenti dei detenuti in ambulanza (individuale, si capisce)?
Ci fermiamo qui, per ora.
Tanto, visto che a fermarsi non sarà certo la smania governativa di mostrarsi solleciti all’eccesso, o alla follia, ci saranno chissà quante altre occasioni di tornarci.
A malincuore per un verso.
Ben volentieri per l’altro.