Covid-19. L’amara verità: prima la carota dei sussidi, poi le legnate del conto
È quasi uno slogan, ormai: “niente sarà più come prima”. E Aldo Cazzullo, sul Corriere della Sera, annuncia anni durissimi
Allora: staremo meglio o peggio, dopo che il peggio sarà passato?
La formulazione della domanda è ironica. La sostanza no, non lo è per niente. La sostanza è capire dove ci stiamo incamminando – anzi: dove ci stanno sospingendo – e che tipo di esistenza ci attende quando saremo usciti dalla fase attuale.
Quella, come sappiamo fin troppo bene, della segregazione forzata nelle nostre case.
Del martellamento incessante di news angoscianti sulle vittime.
Della retorica sovrabbondante che nell’intento di farceli sentire vicini e solidali magnifica sia i vertici statali, sia quelli religiosi: il papa tutto solo, o quasi, che venerdì sera ha pregato nella piazza deserta di San Pietro, invocando un intervento divino di cui palesemente, e ovviamente, non c’è il benché minimo sentore; il presidente Mattarella che in un fuori onda trasmesso per sbaglio (per sbaglio?!) accenna alla propria impossibilità di andare dal parrucchiere e, a partire da questa irrilevante minuzia, viene esaltato per la sua “umanità”.
Delle ripercussioni economiche non è che non si parli per nulla. Ma si finisce comunque per parlarne troppo poco. Incomparabilmente di meno rispetto alle notizie di giornata. E comunque lo si fa in una prospettiva che, in base ai dati disponibili, è del tutto squilibrata dalla parte delle conseguenze mediche: enfatizzando il rischio di finire contagiati e persino di morire, si mira a far pensare che la sopravvivenza stessa sarà una gran fortuna. Come se i decessi avessero davvero, anche solo in potenza, percentuali a due cifre.
I ricorrenti paragoni con la guerra servono a questo. A diffondere la convinzione che essere rimasti vivi sia di per sé un motivo di festeggiamento, individuale e collettivo: dopo di che, si intende, quello che arriverà sarà tutto in più. Tale dovrebbe essere la soddisfazione del non averci rimesso la pelle da rendere sopportabile di buon grado, se non addirittura gioioso, l’onere del doversi rialzare in un mondo di macerie.
Allo stesso tempo, in un’accorta mescolanza di messaggi diversi ma che si rafforzano l’un l’altro, un po’ si riconosce, e molto si avverte, che la ricostruzione non sarà né veloce né agevole.
I naufraghi sono avvisati: venire ripescati ed essere portati a riva esaurisce i regali della buona sorte. Il resto bisognerà conquistarselo da soli. E solo alcuni – ma va? – riusciranno a emergere dalla massa dei poveri cristi impegnati, vita natural durante, a sbarcare il lunario.
Orsù, al lavoro!
In un articolo pubblicato ieri sul Corriere della Sera, Aldo Cazzullo ha sviluppato un ampio parallelo tra il post Coronavirus e il secondo dopoguerra, mettendo parecchi puntini sulle i. A cominciare dal titolo, “La ricostruzione cominci dal lavoro. Il ‘dopo’ non sarà un pranzo di gala”, i toni sono piuttosto secchi. E le cifre da addizionare diventano quelle di una somma algebrica: solo qualche più, moltissimi meno. Con un risultato finale che è destinato a restare negativo per molto tempo. O forse moltissimo.
Arriveranno più fondi pubblici, grazie allo sblocco dei vincoli di Maastricht? Okay. Diciamo che sarà un nuovo Piano Marshall, assimilabile a quello del 1948-51. Tuttavia, domani come allora, non sarà affatto un colpo di bacchetta magica. Gli investimenti statali saranno acqua e concime. Ma la terra andrà coltivata a forza di braccia e di sudore. E di bestemmie (absit iniuria verbis) quando il raccolto ritarderà o sarà magro.
Scrive Cazzullo: “Non dobbiamo pensare che nella storia d’Italia il fotogramma successivo alla Liberazione sia l’autostrada del Sole, gli autogrill, la 600, i primi weekend, la scoperta delle vacanze al mare, la tv e gli elettrodomestici nelle case. Quella è storia di quindici anni dopo, e anche più”.
Poi, seminata questa inquietudine tutt’altro che infondata, all’amaro delle previsioni dolorose si aggiunge un po’ di zucchero. Come energetico, più che come dolcificante.
“Questo non significa che noi dovremo soffrire altrettanto, superare le stesse prove. Significa che quando si usano parole come dopoguerra e ricostruzione bisogna sapere quello che diciamo. E la cosa più importante è questa: l’Italia fu ricostruita con il lavoro. Lavoro prestato a volte in condizioni durissime: ciminiere in città, reparti verniciatura, acciaierie in riva al mare; errori da non ripetere. Ma lavoro; non redditi di cittadinanza per tutti”.
Bel discorsetto, colonnello Cazzullo: le truppe dovranno darci dentro e i lavativi non saranno tollerati…
Quanto è facile redigere ordini di servizio lapidari, standosene al calduccio tra i comfort del circolo ufficiali.