Criminali dalla pistola facile: Luca Sacchi ucciso, Manuel Bortuzzo paralizzato
Mercoledì sera una rapina. Nel febbraio scorso un agguato dovuto a uno scambio di persona. In entrambi i casi, un’estrema e delirante “disinvoltura” nel tirare il grilletto
Attoniti.
Costernati.
Rabbiosi.
Sono gli aggettivi del dolore e dell’impotenza, di fronte a episodi come questo. Di fronte a ciò che è accaduto mercoledì sera a Roma. Nella nostra Roma, in via Teodoro Mommsen, a due passi dal Parco della Caffarelletta.
L’uccisione assurda e spietata del 25enne Luca Sacchi durante un tentativo di rapina ai danni della sua fidanzata ucraina, Anastasia Kylemnyk. La quale, come riferisce il Tg24 di Sky, ricostruisce così quei terribili momenti: «Eravamo appena usciti dal pub. Mi sono sentita strattonare da dietro, mi hanno detto: “dacci la borsa”. Gliela stavo consegnando quando mi hanno colpito con una mazza. A questo punto è intervenuto Luca che ha reagito bloccando il ragazzo che mi aveva aggredito, quindi è intervenuto l'altro aggressore che gli ha sparato in testa».
Morto Luca Sacchi, il 24enne fidanzato della ragazza scippata. I messaggi su Fb
Luca è stato portato di volata all’ospedale San Giovanni, è stato operato d’urgenza, non ce l’ha fatta. È morto per aver reagito d’istinto a una violenza assurda e sproporzionata: che è già insita in quel colpo di mazza sferrato senza motivo contro una giovane donna inerme, e che poi si ripete, diventando addirittura mortale, nel colpo di pistola a distanza ravvicinata.
Ed è proprio questo, che fa più impressione. Il fatto che si possa agire in maniera così feroce e senza preoccuparsi delle conseguenze. Il fatto che qualcuno, per accaparrarsi quei quattro soldi che può avere con sé una ragazza come tante, porti con sé un’arma da fuoco e non esiti a usarla.
In questa incredulità, però, si annida un errore.
Quello di attribuire ai delinquenti di turno una mentalità e un animo non troppo dissimili dai nostri, sia pure nella variante di chi è pronto a violare la legge.
Noi pensiamo a una rapina e ci viene in mente uno svolgimento razionale: quel minimo di minaccia che serve a spaventare la vittima, l’immediata consegna dei denari o dei gioielli, la fuga di gran carriera. Rapido e indolore. Un danno economico, niente di più.
Noi faremmo così e ci piace immaginare che lo stesso farebbe chiunque altro.
In fondo, ci diciamo, l’obiettivo è il bottino.
In fondo conta solo quello, no?
NO.
Gli effetti. E le cause
Ieri lo abbiamo scritto a proposito dei mafiosi: “criminali incalliti che (…) si pongono come forze straniere che si sono insinuate nella comunità nazionale e la erodono dall’interno”.
Ma la stessa estraneità, la stessa ostilità pressoché irreversibile nei confronti del resto del corpo sociale, va attribuita a chi dimostri di non tenere in alcun conto la vita altrui. L’uccisione di Luca Sacchi fa tornare subito alla memoria il ferimento di Manuel Bortuzzo in piazza Eschilo, all’Axa: i due balordi che nella notte tra il 2 e il 3 febbraio erano in cerca di vendetta, contro dei loro avversari che poco prima li avevano messi a mal partito, e che perciò hanno sparato sul giovane nuotatore che si trovava lì per caso. Sai com’è: da lontano gli era parso che fosse uno dei rivali con cui si erano scontrati. Sai com’è: erano tornati a casa per prendersi una pistola. Sai com’è: mo gli spariamo. E gli diamo una lezione. E che ce frega. E ‘sti cazzi.
Bisogna dirselo senza mezzi termini: in soggetti di questo tipo si è alterato qualcosa. Nella loro psiche si è degradato qualcosa. È marcito qualcosa.
Per un motivo o per l’altro, non hanno nessun freno inibitore. E non hanno neppure, evidentemente, nessun timore della legge. Non solo perché confidano di farla franca: ma perché sono convinti, visti gli innumerevoli esempi di relativa clemenza (o di colpevole lassismo) che se anche verranno beccati se la caveranno abbastanza a buon mercato.
E infatti, quando il nove ottobre scorso è arrivata la sentenza di primo grado contro i due feritori di Manuel, uno dei loro avvocati, Alessandro De Federicis, ha avuto l’impudenza di lamentarsi: «Sedici anni sono tanti. È una pena alta che non ci soddisfa, ma dobbiamo leggere le motivazioni. Quello che posso dire è che presenteremo appello. I due imputati sono rimasti senza parole e mi hanno chiesto di andare in carcere quanto prima per parlare con loro».
Poveri cocchi. La pena è alta e non li soddisfa. Lorenzo Marinelli e Daniel Bazzano sconteranno quegli anni di carcere, ammesso che non vengano alquanto ridotti in appello e a suon di benefici “premiali”, e poi torneranno liberi. Liberi di camminare sulle loro gambe, ancorché un po’ invecchiati.
Manuel, invece, rimarrà paralizzato a vita.
Certo: soluzioni immediate, a questa pericolosissima e stomachevole infezione delle teste e dei cuori, non ne esistono. Ma è del tutto sbagliato concludere che si tratti di un fenomeno ineluttabile, le cui cause sono impossibili da precisare. E che comunque non hanno un intimo e patologico legame con i valori, e i disvalori, della società contemporanea.
Accanto alla repressione, molto più dura di quella attuale, ci vorrebbe una profonda rigenerazione etica. Della quale però non si vede traccia, a cominciare dalla politica stracolma di opportunisti e dall’economia strapiena di speculatori.
L’illegalità è spesso spaventosa.
La legalità è spesso sconfortante.