Crisi da Covid, se il Governo vuole dare spiegazioni è il momento di farlo
Il Capo dello Stato Mattarella chiede di ristabilire un clima di fiducia, il Premier Conte intende illustrare le misure. Ma ancora troppe domande attendono una risposta
Non si muore di solo Covid, ma anche di crisi da Covid. Crisi che non è solo sanitaria, ma anche economica e sociale, come dimostrano le proteste che negli ultimi giorni hanno infiammato le città italiane. Proteste dettate dalla disperazione, ma anche dalla diffusa sensazione di essere stati abbandonati dalle istituzioni.
Di qui l’appello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «È indispensabile creare le condizioni utili a ristabilire un clima di fiducia» in quei cittadini e quelle categorie sconcertate dall’azione dell’esecutivo e angosciate per l’avvenire. Soprattutto in seguito all’ultimo Dpcm «che non riduce il numero dei contagiati, ma aumenta il numero dei disoccupati», come da frecciata di Matteo Renzi. Il quale evidentemente continua a fare fatica a ricordare che il partito da lui guidato, Italia Viva, fa parte della maggioranza.
Proprio da Iv, peraltro, è arrivata – nella persona del Ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova – la denuncia di un fatto come minimo sconcertante. «Non mi piace che i Ministri non abbiano i documenti del Cts» su cui il bi-Premier Giuseppe Conte sta basando le misure anti-coronavirus, il j’accuse. Dati che, come confermato dal Presidente dei senatori renziani Davide Faraone, «non sono stati forniti» malgrado le insistenze della delegazione dei fedelissimi dell’ex Rottamatore.
Vale a dire che il Cdm prende decisioni sulla gestione della pandemia senza che almeno alcuni dei suoi membri ne conoscano i fondamenti scientifici. Non serve aggiungere altro.
Crisi da Covid, è il momento delle spiegazioni
Qualche giorno fa, riferendosi al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 ottobre, Giuseppi aveva dichiarato che «queste misure non sono in discussione. Piuttosto vanno spiegate a una popolazione in sofferenza» e la cui pazienza è ormai ridotta al lumicino.
Anche se da giorni ripetiamo che le chiacchiere stanno a zero e che bisogna agire, e anche alla svelta, riteniamo che un chiarimento possa essere utile. Non foss’altro perché, come ha attaccato ancora l’altro Matteo, il Dpcm «fomenta le tensioni sociali di un Paese diviso tra garantiti e non». Oltre a creare «un doppio binario sui ristori economicamente insostenibile nel medio periodo».
Il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, infatti, ha auspicato il termine del 15 novembre per chi aveva già ricevuto indennizzi attraverso il Decreto Rilancio. Per gli altri, se va bene se ne parlerà a metà dicembre.
Il minimo che il Governo possa fare, quindi, è illustrare le ragioni di quello che migliaia di lavoratori considerano un accanimento. Ancora oggi, infatti, l’unico dato che viene propalato, soprattutto a livello mediatico, è quello della curva dei contagi, nuda e cruda.
Le domande ancora senza risposta
Il numero dei positivi continua ad aumentare. Bene, anzi male. Ma perché non si specifica anche che la quantità di tamponi effettuati è enormemente più alta rispetto, per esempio, a sette mesi fa? Al punto che il rapporto tra nuovi contagiati e test – comunque in crescita – è meno della metà rispetto a marzo? Quando era del 27%, laddove al 29 ottobre è pari al 13,3%?
Perché non si specifica che, in base all’ultimo bollettino dell’Iss, il 92,7% dei nuovi positivi ha al massimo lievi sintomi, con un 58,6% di asintomatici? O che i pazienti con «sintomi severi» sono il 6,6%, mentre quelli in situazione critica ammontano appena allo 0,7%? Percentuale che corrisponde a 899 ammalati gravi sui 120.249 di cui è noto il quadro clinico?
Perché non si accenna neppure al cosiddetto sistema dei DRG (Diagnosis Related Groups), le diarie che le Regioni riconoscono agli ospedali in base alle patologie? E che, nel caso dei pazienti Covid, come rivelato dall’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso ammontano a 2.000, o più precisamente 1.800 euro al giorno? Che non significa necessariamente che sia in atto una “covidizzazione” dei nosocomi, ma non è un’informazione che i cittadini meritano di conoscere?
Possibilmente senza che i manutengoli del pandemicamente corretto straparlino pavlovianamente di “negazionismo”, categoria offensiva e del tutto fuori luogo? Perché c’è differenza tra rifiutare l’esistenza di un virus che ha provocato oltre un milione di decessi nel mondo, e criticare i provvedimenti adottati per combatterlo. Cosa che, in una democrazia, dovrebbe ancora costituire un diritto.
Crisi da Covid, c’è ancora il diritto di critica?
O non è più lecito, per dire, stigmatizzare l’operato del Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina? Il cui zenit (ma sarebbe meglio dire nadir) in otto mesi è stata la ridicola trovata dei banchi a rotelle?
Ed è ancora lecito restare perplessi quando la titolare del Mit Paola De Micheli pretende di scaricare sulle Regioni la responsabilità del (prevedibilissimo) caos trasporti? Affermando che dagli enti locali non sono arrivate richieste di risorse aggiuntive, né di riduzione della capienza dei mezzi pubblici?
Le si può far presente che il problema è che le corse e le vetture vanno aumentate, eventualmente rivolgendosi anche alle aziende di trasporto privato? E che la soluzione non può essere, se non nelle spocchiose farneticazioni del Ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, «ridurre la mobilità» attraverso un semi-lockdown? Perché non possono essere i lavoratori a pagare il prezzo dell’incapacità della classe dirigente.
Restiamo in fiduciosa attesa delle risposte, che però non possono tardare, nonostante il vizio della dilazione che caratterizza l’esecutivo del Signor Frattanto. Vale per le parole, ma vale ancora di più per i fatti che migliaia, forse milioni di Italiani chiedono per superare la crisi da Covid. Il momento è ora. E il Governo si assicuri, oggi più che mai, di farsi bene i suoi Conte.