Crisi della democrazia, Houellebecq ci vede più lungo di Mattarella
Il Colle è preoccupato che gli Stati vengano messi in discussione, ma è ciò che accade quando si ignora la volontà degli elettori: e, come nota lo scrittore francese, l’indifferenza si sta tramutando in insofferenza
La crisi della democrazia assomiglia all’albero quantistico che cade nella foresta e “fa un rumore diverso a seconda di chi lo ascolta e di come lo ascolta”. Nel senso che la sua interpretazione varia a seconda del punto di osservazione – ovvero, nel caso specifico, dell’ideologia. Vera chiave di lettura di un macro-fenomeno di cui spesso non si colgono che i contorni.
La crisi della democrazia
«Non è la prima volta nella storia che gli Stati vengono messi in discussione nella loro capacità di perseguire e garantire gli interessi dei popoli». Così parlò, come riferisce TGCom24, Sergio Mattarella, puntando l’indice contro «operatori internazionali svincolati da ogni patria, la cui potenza finanziaria supera» quella di intere Nazioni. Analisi pertinente, perché i danni dei social network sono sotto gli occhi di tutti anche se, di solito, ci si limita colpevolmente alle fake news.
Recentemente lo ha fatto il Ministro della Difesa Guido Crosetto in un’intervista a La Stampa, ipotizzando un’inquietante struttura contro la disinformazione online che ricorda molto l’orwelliano Miniver. E suona estremamente ipocrita da parte del centrodestra, che ci ha sempre tenuto a ergersi a baluardo della libertà d’espressione. Provocazione per provocazione, meglio sarebbe allora chiudere tutte le piattaforme e restringere la possibilità di pubblicare contenuti su Internet ai soli esperti, stile riviste specializzate.
Houellebecq ci vede più lungo di Mattarella
In ogni caso, questo è “solo” un tassello dell’emergenza in atto, che rischia ormai di incancrenirsi forse irreversibilmente. Non a caso, in tempi non sospetti lo scrittore transalpino Michel Houellebecq aveva confidato al Corsera l’impressione che Oltralpe del dibattito intorno a Matignon «se ne infischiassero». Molti, anzi, «pensano che quale che sarà il Governo, prenderà cattive decisioni, dunque sarebbe meglio non avere proprio nessun Governo».
Qui siamo ben oltre la piaga avita dell’astensionismo, qui l’indifferenza si fa insofferenza. E ciò che il Colle definisce sprezzantemente «settarismo nazionalistico» non è una distorsione, bensì la naturale conseguenza del totalitarismo soft delle élites. Sono i cittadini che vogliono riappropriarsi della sovranità che è loro dovuta e di cui si sentono – a ragion veduta – defraudati a vari livelli.
Vedasi una iattura che pure in Italia abbiamo purtroppo imparato a conoscere fin troppo bene. L’uso politico della giustizia finalizzato sia a contrastare indebitamente l’azione governativa, che a eliminare l’avversario per via tribunalizia. Ultimamente l’ha sperimentato Bucarest con Diana Iovanovici Șoșoacă, leader del partito di destra S.O.S. Romania: e Parigi potrebbe seguire presto, con l’omologo del RN Marine Le Pen.
Ma l’antica Dacia e l’Esagono sono accomunati anche da quello che è il vero cuore della crisi della democrazia. Il sovvertimento della volontà degli elettori da parte di manipoli di burocrati che rispettano – sia chiaro – i canoni della legalità, ma non quelli della moralità.
Il cuore della crisi della democrazia
Nel Vecchio Continente i prodromi si erano già avuti con le Europee dello scorso giugno, caratterizzate da un fortissimo spostamento verso le formazioni conservatrici. Totalmente disatteso dall’esecratissimo bis di Ursula von der Leyen, con tanto di riedizione dell’ircocervo PPE-S&D-RE, addirittura col perniciosissimo allargamento ai Verdi.
Subito dopo – appunto – era stato il turno della Francia, ancora oggi tenuta “sotto sequestro” dalla megalomania pseudo-napoleonica del Presidente Emmanuel Macron. Che, dopo il fallimento dell’esecutivo del moderato Michel Barnier (in quota Les Républicains), ha ora designato Premier l’altro centrista François Bayrou, numero uno del MoDem. Ignorando ancora le preferenze dei citoyens per la droite del Rassemblement National (in termini di suffragi) e la gauche del Nouveau Front Populaire (per numero di seggi).
Infine è toccato proprio alla Romania, la cui Corte Costituzionale ha cancellato le Presidenziali a due giorni dal ballottaggio. Arrampicandosi sugli specchi di (presunte) ingerenze russe per giustificare un vero e proprio golpe, che Il Fatto Quotidiano ha sintetizzato in un titolo folgorante. Al primo turno «vince quello sbagliato [il candidato anti-establishment Călin Georgescu, N.d.R.]: annullate le elezioni».
Niente potrebbe spiegare meglio l’attuale crisi della democrazia. “Gli Stati mostri si avventano sui regimi fascisti”, cantava d’altronde il Maestro Franco Battiato (un altro che ci vedeva lunghissimo), inchiodando pure l’Occidente ai propri peccati. Era il 2004: vent’anni dopo, come dimostra anche l’affaire della Siria, l’auspicato cambiamento non è mai “NATO”.