Cultura media scarsa e tempra morale incerta. Indovinate di chi parliamo
Nonostante tutto siamo una grande nazione. Ma anche un popolo troppo accomodante con chi governa: e mica solo adesso
Identikit in due battute: cultura media scarsa e tempra morale incerta. E forse, anzi, ci stiamo andando persino leggeri. E il guaio, senza forse, è che troppi di noi cittadini non ci badano nemmeno più, a quanto è modesta l’attuale classe politica. Magari ci ridacchiano su. Ma lì finisce.
Invece bisognerebbe proprio farla, una verifica di massa. Nessuno escluso. E in diretta online. Senza fogli e foglietti al seguito. Con le sole proprie forze. Con quello che si sa davvero, quando non ci sono gli uffici stampa e i ghostwriter a nascondere le lacune e a confezionare il prodottino di turno.
Prego, illustrissimi deputati e senatori. E ministri in carica. E consiglieri sia delle Regioni sia dei Comuni al di sopra dei 500 mila abitanti. Prego: scrivete di vostro pugno, qui e ora, un mini saggio sui grandi problemi del nostro tempo. Per esempio: lo strapotere dell’economia finanziaria. Le crescenti iniquità nella distribuzione della ricchezza. L’annichilimento della sovranità nazionale, in campo monetario e non solo.
Secondo voi che cosa ne uscirebbe fuori, nella maggior parte dei casi? Si accettano scommesse. Noi puntiamo su un temino da quattro soldi. E grasso che cola se non fosse infarcito di errori marchiani. Anche di sintassi, di grammatica, persino di ortografia.
Domande cruciali. Domande rimosse
Certo. Lo j’accuse è pesantissimo. E quindi va subito dettagliato. Per evitare ogni equivoco. Per chiarire che questa non è affatto una “provocazione intellettuale”, ma un’analisi specifica. Che sfida ogni possibilità di confutazione. E che anzi non vedrebbe l’ora di poter sostenere la sfida in pubblico, di fronte a un uditorio di persone in carne e ossa o a qualsiasi platea mediatica.
Cominciamo dal primo aspetto, allora. Quando parliamo di cultura non intendiamo quel po’ di background scolastico, quand’anche universitario, che è il minimo indispensabile per affacciarsi su materie complesse. Tanto più se interdisciplinari, e al sommo grado, come lo è la politica. La politica con la P maiuscola. La Politica che non è solo amministrazione dell’esistente ma che si incardina su una concezione profonda della vita umana, sia individuale sia associata.
Le domande sono inequivocabili: che idea di esistenza si ha in mente? Come ci si pone rispetto allo schema oggi dominante della crescita infinita e dell’economia come motore del mondo? Si è d’accordo o non si è d’accordo con la (terrificante) triade del liberismo: produci-consuma-crepa?
Le domande sono inequivocabili. Le domande sono rimosse. Accantonate in nome di un sedicente e capzioso pragmatismo: con la scusa di essere concreti si è acquiescenti. Ci si appiattisce sui rapporti di forza in atto e si smette di giudicarli. Così vanno le cose. Così lasceremo che continuino ad andare. E chissenefrega se i relativi meccanismi si irrigidiranno ancora di più e diventeranno delle morse. Rendendo impossibile sganciarsi e prendere altre strade.
Il motto fintamente solidale è “nessuno si salverà da solo”. Il suo significato reale è “a nessuno sarà permesso di salvarsi da solo”. Altrimenti, chissà quanti altri potrebbero capire che questo affrancamento è possibile.
È provvidenziale.
Non vedo. E non prevedo
Un vero leader non può essere solo un ruminatore dell’ovvio. Un rimescolatore dell’evidente.
Un vero leader, ma anche soltanto una persona che ambisca a ruoli politici di alto livello, deve avere due capacità fondamentali. O per meglio dire due prerequisiti, su cui imperniare le scelte operative. Oltre, si intende, a una sostanziale onestà nei confronti dei suoi concittadini. E una buona dose di coraggio, che lo induca ad anteporre la coerenza al tornaconto.
La prima capacità è capire che cosa si muove davvero nella realtà circostante, sia interna che estera. Che cosa si muove e soprattutto chi lo muove. Ossia quali sono le forze in gioco – anzi in azione – e quali sono le loro mire.
La seconda, che d’altronde è intimamente connessa alla prima, è l’abilità nel prevedere ciò che si prospetta per l’avvenire. Occhio: non stiamo dicendo “di indovinare”. Azzeccare una previsione non è una cosa da maghi. O da giocatori d’azzardo particolarmente fortunati. Prevedere con sufficiente esattezza vuol dire aver colto certe linee di tendenza e immaginare in anticipo come continueranno a dipanarsi.
Bene (si fa per dire). Prendetevi il tempo che volete e rispondete a quest’altro paio di domande: che cosa hanno previsto, negli ultimi trenta o quarant’anni, le classi dirigenti dei partiti italiani? E che cosa hanno fatto per contrastare l’instaurarsi delle tantissime dinamiche – dalla speculazione di Borsa estremizzata alla precarizzazione dei rapporti di lavoro, per citarne giusto un paio – che hanno avvantaggiato i ricchi e i super ricchi a scapito di tutti gli altri?
Io galleggio, tu galleggi, egli o ella…
La risposta è nei risultati. Nulla o quasi nulla. L’ipotesi più realistica è quella di un miscuglio di ottusità e connivenza, in proporzioni variabili. Riguardo alle percentuali dell’una e dell’altra, fate voi. Se prevale l’ottusità siamo tra la vanteria e la truffa: utilitarie spacciate per grosse cilindrate. O addirittura per fuoriserie. Se invece prevale la connivenza, vuol dire che l’acume c’era. Ma che è stato speso nel modo peggiore. Da dote si è trasformato in dolo. Si sapeva quello che sarebbe accaduto e si è lasciato che accadesse.
Come avevamo scritto all’inizio: cultura media scarsa e tempra morale incerta. Per non dire di peggio. Poche idee orecchiate qua e là. Un’inesauribile prontezza nel seguire il vento. Una totale disinvoltura nel cambiare posizione. Nello smentire sé stessi senza manco scusarsi. Nel transitare da un partito all’altro, o addirittura da uno schieramento a quello opposto, in coincidenza (ma che coincidenza…) con il proprio vantaggio personale. Personale o di fazione. Di fazione o di cordata.
E ogni tanto, solo di tanto in tanto, una spruzzata di lacrime di coccodrillo. Che arrivano sempre fuori tempo massimo. Che aggiungono la nuova patacca dell’asserita buonafede a quella precedente della sagacia fittizia.
Sai com’è: errare humanum est. Sai che c’è? Siamo davvero corretti a riconoscere gli sbagli del passato. Vorrà dire che ci meritiamo di rimanere al nostro posto. E che faremo meglio la prossima volta.
Noi stessi. O i nostri degni eredi.