Da ora in poi a Roma il derby solo a porte chiuse?
Il prefetto di Roma Gabrielli in un’intervista a Repubblica: “Decideremo poi ma credo sia necessaria una riflessione”
“Il tema dei coltelli, delle ‘lame’, per dirla alla romana, ha attraversato la storia del tifo capitolino. Quando stavo alla digos, 11 anni fa, c'era anche un gruppo che si chiamava Bisl: ‘Basta infami, solo lame’ ”. A parlare è il prefetto di Roma ed ex capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli che, in un’intervista a LaRepubblica (qui l'articolo completo), traccia il bilancio del day after, il giorno dopo il derby Lazio-Roma, il suo primo derby da prefetto della Capitale.
Due accoltellamenti, qualche tafferuglio e alcune cariche di alleggerimento per disperdere qualche facinoroso. Il contatto tra le tifoserie è stato evitato. Ma “ha ancora senso far svolgere manifestazioni sportive impiegando un numero impressionante di forze dell'ordine? O non sarebbe il caso di pensare, più drasticamente, che certe partite in queste condizioni non si debbano svolgere in maniera ordinaria?”: è questo il grande interrogativo. “Quando una partita di calcio si connota per scontri, feriti, cariche alle forze di polizia, sequestri di roncole, caschi e bastoni, stiamo ancora parlando della cronaca di un evento sportivo o di una guerriglia urbana?”, si legge nell'articolo.
1700 uomini in campo, quello fuori dall’Olimpico, dove invece i 22 giocatori delle squadre capitoline erano impegnate. Il campo è quello cittadino, dove una concentrazione elevatissima di uomini è stata dispiegata per monitorare la situazione prima-durante-dopo il derby. Un plauso, da Gabrielli, proprio a quegli uomini: “Il dispositivo messo in campo è stato idoneo a evitare che vi fossero compromissioni molto più significative”. Il dato, però, è che “la cosa più scandalosa, è proprio il numero di agenti impiegati”. Troppi, secondo il prefetto che, a Mauro Favale di Repubblica spiega che “quando si ritengono certe partite non più gestibili con un decente numero di personale non si fanno giocare in maniera pubblica”.
Derby a porte chiuse? Al momento è solo un’ipotesi. “Lo decideremo insieme ma credo sia comunque necessaria una riflessione a riguardo”, spiega Gabrielli, che non dimentica di guardare anche alla razionalizzazione dei risparmi: “Il contribuente italiano, che di calcio si interessa poco o comunque non per questo tipo di manifestazioni, credo che viva in maniera giustamente risentita tutto questo dispendio di denaro. E in un Paese in cui il corretto utilizzo delle risorse è un tema discriminante, questo ragionamento bisogna farlo per rispetto ai contribuenti e alle forze di polizia, carabinieri e guardia di finanza costrette spesso in questi contesti a ricevere mazzate”.
Da Gabrielli, infine, una riflessione sulle tifoserie capitoline. “Nell’ambito delle tifoserie non c'è stato un cambio di atteggiamento e il tempo trascorso, più che attenuare certi comportamenti, li ha accentuati. Nonostante gli arresti, i daspo, le strutture costruite attorno all’Olimpico, l’aumento di agenti che cresce di derby in derby, gli esiti di queste partite sono sempre simili. Forse, allora, il tema non è tanto la terapia, ma la malattia”, conclude.